sabato 30 dicembre 2006

Viva la libertà

...Lo sanno a memoria il diritto divino e scordano sempre il perdono.
(Fabrizio De Andrè, da Il testamento di Tito, in La buona novella, 1970)

Il presidente della "più grande democrazia del mondo" George Walker Bush, lo stesso che chiude praticamenti tutti i suoi discorsi con quel rassicurante e sentito "God bless America" (con il sottoscritto che non riesce a non pensare sistematicamente allo struggente e beffardo finale de Il cacciatore - Michael Cimino, 1978), sostiene come la morte per impiccagione di Saddam Hussein sia "un tappa fondamentale per il ripristino dello stato di diritto e della democrazia in Iraq".
Io penso a tutti quelli (e ne sono tanti, anche di molto vicini) pronti ad alzare le braccia al cielo che neanche dopo un oro olimpico sentendo placata la sete di vendetta piuttosto che di vittoria.
Odio con odio morte con morte, ogni volta, ogni cazzo di volta, credo davvero che non riusciremo più a venirne fuori. Intendo vivi.

giovedì 28 dicembre 2006

Latitanza

Eccoci qui, come ogni anno inevitabilmente tutti più buoni.
Pescara non dona collegamenti all'etere come la calda capitale e così, su due piedi piuttosto che su due mani, suppongo che il gap tecnologico in casa mia rimarrà tale nonostante le avvertenze della signorina nella London Underground ("Mind the gap, please").
Don Gino e la Signora Marfisia sprizzano felicità e robusta costituzione da tutte le brocche, ed è proprio merito loro, delle brocche colorate di rosso dico, se la mia prosa risulta ancor più farraginosa del solito in questa mattina di falangi ghiacciate.
Comunqe buone feste a tutti, a chi crede che davvero una vergine partorì in una grotta il salvatore degli uomini, un tipo carino con gli occhi azzurri, fisico asciutto e la barba alla Cirello e a chi se ne sbatte ma non per questo squarta e uccide. Alla fine per terra o in cielo saremo tutti uguali, "in posizione orizzontale, possibilmente freddi." (El Indio, in Per qualche dollaro in più - Sergio Leone, 1966).
Ci vediamo quando posso. Senza applausi o fischi.

venerdì 22 dicembre 2006

Una vignetta di Bucchi

Un uomo è seduto al bancone in legno di un bar, presumibilmente poco prima dell’orario di chiusura. Lo vediamo di spalle con una giacca grigio scuro lisa dalla stanchezza e un cappello a larghe tese leggermente alzato sugli occhi fissi nello specchio di fronte. Potrebbe sembrare il detective Sam Spade di Humphrey Bogart (Il mistero del falco - John Huston, 1941), un poliziotto dai modi spicci che chiude una giornata di merda con il calore di un bourbon per prepararsi allo sbraitare di una donna qualunque che lo attende in casa. Dall’altra parte, sulla destra, c’è il barista in giacca bianca, mani nascoste nel lavandino e tanta voglia del letto di casa. Il juke-box non si vede ma con tutta probabilità deve star suonando Caravan, con Duke Ellington al piano, Frank B. Foster al sassofono e Elle Fitzgerald a ustionare il tutto con la voce:

- Anche lei vuole abbattere tutte le tirannie?
- No, un Martini.

giovedì 21 dicembre 2006

Blowing in the Wind

Il blog è bello perchè è vario, dice un famoso proverbio zen.
Il fido campione d'inverno Montelli, titolare del temutissimo blog Novanta Minuti... mi segnala che Flavia Vento, proprio lei, la mente che tutti vorremmo avere, gestisce a sua volta una pagina di considerazioni personali.
Qui di seguito riporto uno dei post dell'ex ragazza sotto vetro e una tipica risposta di uno dei suoi lettori.
Se il vostro spirito comico-masochista avesse bisogno di ulteriori stimoli o se solo voleste alzare il livello della vostra autostima, fate un salto qui e visitatelo con maggior attenzione, sarete soddisfatti in entrambi i casi:

prostitute
ieri stavo guidando la macchina per tornare a casa e ho visto un viso stupendo, due occhi innocenti,capelli biondi e occhi verdi..avra' avuto 16 anni e stava sulla strada..mi sono sentita male per lei..e mi sono detta :siamo a roma, la citta' del vaticano,dove quasi tutti sono cattolici,e nessuno fa niente..............ma che ipocrisia..leviamo queste poverine dalla strada..ma tanto anche i poliziotti sono corrotti.............
Scritto da flaviavento 10:45 - Permalink


Flavia cara, mi stupisci ogni giorno che passa..non sapevo fossi tanto intelligente da aver preso la patente!
Sei un mito, se vuoi possiamo risolvere la situazione sulle strade di Roma..io, te e i Power Ranger
Gionatan martedì, 03 ottobre 06 22:24

mercoledì 20 dicembre 2006

Il canto dell'incipit

Sei lì che giri in libreria con l’intenzione di farti catturare dalle parole che comprerai in futuro perché adesso di soldi da spendere neanche a parlarne. Poi succede che una copertina anonima, verde pisello, poggiata ai piedi dello scaffale gonfio di pubblicazioni economiche e per nulla avvenenti, riesca a mettersi in evidenza. Cerchi di lasciare le mani in tasca ma ti accorgi come già stiano contando gli spicci rimasti dal resto del rum della sera prima, gli occhi provano a spostarsi sull’ultimo libro della Tamaro (un po’ come quando, nel culmine dell’atto sessuale, ti ritrovi a pensare alla vecchia rugosa del primo piano per distrarti e di riflesso prolungare il piacere di quella magia) ma non lo trovi, allora capisci che l'epilogo di questa microstoria sta arrivando e senza accorgertene stai già sfogliando le prime pagine e assaporando le prime righe. Quattro euro e venti, Il Corsaro di via Macerata (quartiere Pigneto) regala queste e altre perle, e ancora una volta - ma questa, forse, è un'altra storia - mi trovo ad inveire contro la maledetta cartapiù de La Feltrinelli.

Chandler fa apparire Marlowe nel mondo così, con la leggerezza di quel fazzolettino assortito. Potevo uscirne senza?:

Erano pressappoco le undici del mattino, mezzo ottobre, sole velato, e una minaccia di pioggia torrenziale sospesa nella limpidezza eccessiva là sulle colline. Portavo un completo blu polvere, con camicia blu scuro, cravatta e fazzolettino assortiti, scarpe nere e calzini di lana neri con un disegno a orologini blu scuro. Ero corretto, lindo, ben sbarbato e sobrio, e me ne sbattevo che lo si vedesse. Dalla testa ai piedi ero il figurino del privato elegante. Avevo appuntamento con quattro milioni di dollari.

(Il grande sonno - Raymond Chandler, 1939)

martedì 19 dicembre 2006

L'ancora nei pantaloni

Dalle mie parti, i superstiziosi ti proibiscono di utilizzare una candela per accendere la sigaretta: “No, fermo, non lo sai che muore un marinaio?”
Io superstizioso non sono (e tanto meno fumatore di tabacco assoluto), succede però che sigaretta o non sigaretta, candela o non candela, i marinai muoiano davvero. E quando accade mi sembra sempre che se ne vada un pezzo di sogno.
Allora inizio già ad immaginare l’emozione che coccolerà l’omaggio di tutti gli uomini di mare che potevano essere inghiottiti al posto di Remo, col silenzio nascosto dalle sirene ululanti portate a spasso da tonnellate di lamiere. In fila e poi in cerchio intorno al luogo della tragedia, perché le morti in mare non hanno altro nome, sono tragedie anche e soprattutto nel senso teatrale del termine, perché sottendono un viaggio, una spedizione in-consapevole verso la catastrofe chiarificatrice e liberatrice.
Maria Cristina era una vongolara in legno, lunga dodici metri e pesante oltre dieci tonnellate, non è servito, il mare se l’è portata con sé in meno di un minuto, in un'alba autunnale qualunque, con l'acqua calma e il buio a sovrastarla.
“Se avesse potuto scegliere sarebbe voluto morire così”, o forse non sarebbe voluto morire affatto aggiungo io, perché quando uno ama non ha alcuna voglia di allontanarsi dal suo amore.
Io di riflesso penso ai piedi d’amianto e alle gambe da calciatore mancato di Don Peppino, che ora, mentre scrivo, dopo aver tirato su le reti dal profondo e il sole dall’orizzonte, starà vendendo il suo pescato sulla spiaggia di Francavilla sotto l’occhio vigile del gabbiano monogamba.

lunedì 18 dicembre 2006

Sono nato troppo tardi

Gli occhi bassi, semi chiusi a guardare le bocca carnosa sussurrante nel microfono, la voce calda e morbida come un paio di mani delicate su di un collo stanco, il pollice destro gigantesco ad abbracciare quasi tutto il manico della chitarra quasi a confessare di poter fare a meno del basso, i baffi da giovane adulto a contornare il labbro superiore, la giacca furba, improbabile come al solito, il pantalone nero con ancora le pieghe della stiratura e il colletto bianco, enorme che neanche quelli di un Sandro Ciotti d'annata.
E in tutto ciò io vorrei sapere chi diavolo sono e cosa fanno adesso quelle dieci persone che lo ascoltavano, sedutegli di fronte, a gambe incrociate come boy scout intimiditi, a Stoccolma, quel 24 maggio 1967.

Vi servono solo 3 minuti e 28 secondi. Fatevi un regalo, cliccate qui e godetevelo tutto.

IL VENTO PIANGE MARY

Dopo tutto i pupazzi sono nelle loro scatole *
e i clowns sono tutti andati a letto
Puoi sentire la felicità barcollante sulla strada
Orme vestite di rosso
Ed il vento sussurra Mary
Una scopa raccoglie via desolatamente i pezzi rotti
della vita di ieri
Da qualche parte una regina sta piangendo
Da qualche parte un re non ha moglie
Ed il vento, lui piange Mary
I semafori diventeranno blu domani
e splende il loro vuoto giù lungo il mio letto
La piccola isola si lascia trascinare dalla corrente
Perché la vita che un tempo vi era lì, è morta
Ed il vento urla Mary
Potrà mai il vento
ricordare i nomi sussurrati nel passato?
E con la sua stampella, la sua tarda età, e la sua saggezza
Lui sussurra "No, questo sarà l'ultimo"
Ed il vento piange Mary


*Jack in the box è un gioco per bambini fatto come una scatola
con dentro un pupazzo che una molla fa scattare fuori appena
la si apre. ( n.d.t.)

domenica 17 dicembre 2006

La prigrizia del Disk Jockey

Se si escludono un paio di feste e alcune deliranti situazioni casalinghe, posso dire di non aver mai fatto il dj. Ma poi cosa vuol dire fare il dj? Mettere musica e basta (e allora chiunque armeggia con i cd e un raggio laser nei paraggi può essere denominato tale) oppure mixare, girare potenziometri, abbassare leve e accendere interruttori, tenere le cuffie tra orecchio e spalla, accettare qualsiasi richiesta della platea ("Tra cinque minuti la metto") senza poi “suonarla”, ammiccare alla barista pettoruta per una birra?
Serata finita come da reiterato rituale alle 6 di mattina, nella sempre più trepidante attesa che l’alba torni ad alzarsi prima di tutti. Non mi stancherò mai di cantare E la luna bussò, ma c’è davvero tanto bisogno di metterla ogni volta, di consumare sempre le stesse solite usurate tracce per di più nella medesima scaletta? Porca troia, posso essere d’accordo sul fatto che Alberto Camerini abbia scritto solo Rock’n’Roll Robot, ma Loredana Bertè ha scritto solo quella canzone? Rino Gaetano solo Gianna e Berta filava? I Sex Pistols solo Anarchy in the UK? Iggy Pop solo Lust for Life? I Rolling Stones solo Start me up? Beck solo Loser? I Pink Floyd solo Another Brick in the Wall? Prince solo Kiss? I Clash solo Should I stay or should I go?
Potrei continuare da qui all'infinito senza siepi ad occludere lo sguardo. Perché la gente si accontenta, perché il rischio di omologazione è sempre così attualmente subdolo?
Mi son svegliato con questa amarezza nel piloro, allora metto su i Grateful Dead, Dark Star mi cullerà sulle sue dolci strascinate corde.

sabato 16 dicembre 2006

Cappelli e finestre

Tra il 1784 e il 1811 il governo inglese impose una tassa sulla vendita dei cappelli. La progressione andava da 3 penny (per cappelli che costavano meno di 4 scellini) a 2 scellini (per cappelli che costavano più di 12 scellini). I fornitori di cappelli erano tenuti ad acquistare una licenza (2 sterline a Londra, 5 scellini fuori) ed esporre un cartello che recitava Commerciante in Cappelli al Dettaglio.
Per la corretta applicazione dell'imposta vennero stampati dei bolli da incollare alla fodera di ciascun copricapo. L'evasione della Tassa sui Cappelli, da parte del rivenditore o di chi li indossava, era sanzionabile con una multa, mentre la falsificazione dei bolli divenne punibile con la morte. Per non si sa quale ragione la tassa si applicava solo ai cappelli da uomo.
Fra le tasse analoghe dell'epoca si ricordano: la Tassa sui Guanti (1785-94), la Tassa sugli Almanacchi (1711-1834), l'Imposta sui Dadi (1711-1862), la Tassa sulla Cipria per Capelli (1786-1869), la Tassa sul Profumo (1786-1800) e la Tassa sulla Carta da Parati (1712-1836).
In questo marasma di imposte assurde, la più nota resta probabilmente la Tassa sulle Finestre, introdotta per la prima volta nel 1697 per rimpiazzare le entrate perse con la limatura delle monete. Con l'andare del tempo la tassa finì per privare i residenti (in particolare quelli delle aree più disagiate) della luce del sole e divenne sempre più impopolare. Fu definitivamente abolita nel 1851.

mercoledì 13 dicembre 2006

Venezia è bella ma non ci vivrei

Di guardia alla R26, oltre ad osservare, riflettere e dedurre come il Signor Sonquì della Settimana Enigmistica, ho il tempo di condurre le mie personalissime indagini di mercato corredate da percentuali, diagrammi di flusso e istogrammi. Quella di oggi si riferisce alle frasi fatte che il tipico visitatore del motorshow (specie da studiare con attenzione in tutte le sue multiformi varianti) rivolge alle simpatiche fanciulle dello stand Renault (ormai a livelli di sicurezza nettamente al di sopra degli standard mondiali, la mia presenza è vitale come il cacio per i maccheroni), che inevitabilmente, sorridono e incassano con la nausea nello stomaco:

- Ragazza seduta in macchina, lato passeggero, ciondolo che penzola proprio lì in mezzo: “Dove mi porti/dove ti porto/andiamo a bere qualcosa/ti offro un aperitivo/andiamo a vedere la mia collezione di farfalle (sigh)?”
- Ragazza di colore nero seduta in una Clio nera, culo verso le stelle, a baciare le scapole: “Una pantera nella pantera!”
- Ragazza in piedi, sportello aperto, gambe chilometriche in vista: “Posso farti una foto?”
- Ragazza in piedi, sportello aperto e la logica di calze nere: “Ma se compro la macchina ci sei anche tu in omaggio?
- Ragazza seduta in macchina, gonnellino birichino. Qui siamo all’offesa…: “Sei davvero un bell’accessorio!”
- Ragazza seduta in macchina con le gambe accavallate verso l’esterno dell’abitacolo, tacchi da 15 in evidenza: “La Megane fa schifo ma tu sei stupenda!”
- Ragazza in piedi con il gomito sul tetto della macchina chiusa, camicetta blu Renault sbottonata al punto giusto: “Posso farti il baciamano?”
- Ragazza in piedi, chinata nell’abitacolo a parlare con una collega: “Che carrozzeria!”

Ora, ma davvero non c'è di meglio da dire? Che so, entri, ti siedi e inizi a fissare il volante come per spogliarlo, osservi le finiture del cruscotto, giochi con il cambio, sposti freneticamente i satelliti delle frecce, accarezzi il tessuto dei sedili, apri tutti gli scompartimenti loffi possibili, scopri la mancanza dell'accendisigari, avanzi e retrocedi con il sedile a ritmo forsennato, poi alzi lo sguardo e così di getto spari: anche tu qui?

Nottata mancata

Sono a pezzi. Nei programmi c'era la notte bianca fino all'orario lavorativo ma svariate vicissitudini indicibili su queste righe hanno invertito improvvisamente la rotta. Ve ne parlerò personalmente.
Allora mi appresto alle ormai classiche 2 ore di sonno, non so quanto durerò nè se il sor Vichi, collega del padiglione 21, arriverà mai al lavoro (a causa delle vicissitudini di cui sopra...), cercherò di sognare una scusa plausibile da comunicare al boss, il signor Fabio "siate dissuasivi" Baldacci.
Sono in fase tutt'altro che creativa ma voglio comunque dirvi che oggi ho inserito le cuffie - con volume a palla - verso le trombe di Eustachio ascoltando nell'ordine Me and Bobby McGee (nella versione di Joan Baez) e The House of the Rising Sun (Animals) quando d'improvviso la moquette si è tramutata in deserto e le macchine in coppie di corpi copulanti che neanche quelle di Zabriskie Point (Michelangelo Antonioni, 1970): per 10 minuti sono stato da Dio. Uno qualunque.

martedì 12 dicembre 2006

La cravatta

Ebbene sì, anche il vostro bloggaro preferito ha dovuto cedere per esigenze di copione lavorativo a questa triste importanza che il vivere contemporaneo associa all'apparenza: lunedi 11 dicembre 2006, come faceva notare il solito calabrotto di turno (...), per la prima volta ho imprigionato il mio collo intorno ad una cravatta. Niente di eccezionale devo confessare, solo maggiore difficoltà nel grattarsi le parti sottostanti quella seta nazista ed impietosa. Affascinante comunque, non l'ho mai negato. Però indossata da altri.
Il fatto che il cappio sia accompagnato alla sua sinistra da una targhetta di nome security fa diventare il boia più autoritario di un arbitro in mala fede: ulteriore motivo per alimentare il fastidio. Conosco Selma, viva visione dalla Bosnia, gambe dorate e occhi incantati, e allora penso subito ai facili innamoramenti giornalieri del neo vecchio Montelli (in bocca al lupo a tutti per la serata che mi appresto a vivere) ma la magia del corpo si rivela - inevitabilmente mi verrebbe da dire - direttamente proporzionale all'immobilità stantia del cerebro, a metà tra la capacità di calcolo di un ferro da stiro e quella di ragionamento di un comodino laccato di bianco. Fa niente mi dico, in questi momenti contano altre cose. O forse no.
La sveglia suonerà alle 05:36, l'autobus numero 28 mi aspetterà in Via Indipendenza alle 06:25. Almeno così dicono i cartelli gialli con la scritta nera.

lunedì 11 dicembre 2006

I tronchi di Dylan

Forse si tratta esclusivamente di deformazione professionale, ma l'ultimo numero de L'Europeo (n°6, 2006 anno V) è di quelli da conservare in libreria. Mancano straordinari procacciatori di emozioni come i Grateful Dead, gli Who e i Genesis, ma la storia del rock per immagini - dal 1956 al 2006 - che rivive in queste pagine in scale di grigio, è da brividi come neanche una toccata e fuga di Bach:
c'è Jimmy Page che tracanna Jack Daniel's poco prima di entrare in scena, David Bowie e Paul Simonon (il basso dei Clash per chi ne fosse all'oscuro) a brandire birra con pelle tirata da chissà quale sostanza, "Slowhand" Clapton che ammira nonna Rose di fronte al camino di casa, il passo da papera (il leggendario duck walk) di Chuck Berry con l'inseparabile Gibson tra le mani, le lunghe accoccolate dita di Keith Richards ad imboccare morbidamente il figlio Marlon nella villa a Villefranche-sur-Mer, Patti Smith a quattro zampe tra fili elettrici e mani adoranti, la sigaretta e le scarpe senza fine di Tom Waits, la valigia ad accogliere le terga e la faccia puffosa di Janis in un aereoporto qualunque, Hendrix che trapassa con lo sguardo un ufficiale di polizia. E poi decine di altre visioni impressionate dalla luce come la mia preferita, quella di cui vorrei avere la paternità del suo essere immortale: il do di Bob Dylan seduto su di una panchina nel suo rifugio di Byrdcliffe, vicino Woodstock, tra cortecce e tronchi accatastati, erbacce spontanee e jeans attillati, occhiali tondi e scarpe allacciate.
E con lo sguardo ammirato del pargolo Jesse, in maglietta bianca, dita intrecciate e piedi nudi sulla terra umida.

domenica 10 dicembre 2006

Una lucida follia

"Figura retorica consistente nell'accostare, nella stessa locuzione, parole che esprimono concetti contrari."
Questo è Napoli, un meraviglioso gargantuesco ossimoro.

giovedì 7 dicembre 2006

Dal San Paolo al Dall'Ara

Fedelissimi, a breve partirò per la città che vide le gesta di Diego Armando. L'unico ricordo che ho del Pibe de Oro in carne ed ossa, risale ad un Pescara-Napoli di qualche hanno fa, in piedi nella gloriosa curva nord dello Stadio Adriatico di Viale Pepe. Finì zero a zero con la mano de dios annullata dal numero otto della compagine biancazzurra, al secolo Franco Marchegiani, avvistato l'ultima volta nel 2002 mentre scorrazzava in sella al suo bianco Scarabeo Aprilia 50 all'angolo tra Via Chieti e Corso Vittorio Emanuele II.
Domenica mattina invece sarò all'ombra del Dall'Ara, teatro di un memorabile concerto di Vasco subito dopo la morte di Massimo Riva, con grande merito a La Signora, ostinato centravanti, che riuscì a barattare il nostro biglietto "spalti" con uno "prato", più caro al botteghino di 10000 lire.
Per tre giorni dimenticatemi, anzi, tenetemi in caldo. Con tutta probabilità continuerò ad allietare un po' di minuti della vostra giornata quando ne avrete voglia da sotto le due torri.

Non ci avevo mai pensato, allora sono andato a controllare, scoreggia (o scorreggia) è un vocabolo della lingua italiana: "Emissione rumorosa dei gas intestinali dall'ano" (dal Devoto-Oli).
Da questa definizione quantomeno imprecisa potrebbero partire fior di disquisizioni, lo so. Voi iniziate, quando posso interverrò da par mio.

Francesismi

Fa veramente tenerezza ascoltare Sergio Leone parlare in lingua francese, tenerezza che si trasforma in dolcezza e rispetto, sesso e sogno, eccitazione e tachicardia quando a farlo sono le labbra del mio ideale di donna, in assoluto: “Double C” direbbe Flavio Tranquillo, io invece mi ostino a chiamare le cose col loro nome, Claudia Cardinale. La superiorità. Molti di voi sanno quanto mi dia fastidio il francese sulla bocca della maggior parte delle persone, ma qui è diverso, e attenzione, tutto ciò esula dalla bellezza oggettiva della donna stessa, con Monica Bellucci non provo la stessa emozione, anzi, preferisco stia zitta. Penso sia d’accordo anche Vincent Cassel, se solo potesse dirlo in pubblico.
I western di Sergio Leone (documentario di Philip Priestley), visto ieri sera per la seconda volta con la consueta pelle d’oca. Se solo amate un pochino il dispositivo cinematografico, vi prego, provvedete.
Aneddoti, ricordi e rughe. E poi le musiche (“la voce narrante dei miei film”) del compagno di scuola Morricone, quelle arie che ti alzano qualche metro da terra, le note che accompagnano il magistrale piano-sequenza di presentazione di Jill McBain (CC per l’appunto) in C’era una volta il west, dallo spettacolare viso a far capolino dal vagone fino al totale sulla ferrovia in costruzione. La musica non finisce, si torna in studio dove il panciuto barbone Sergio non si fa alcun problema di pudore né riverenza, ancora con quel francese presuntuoso da carezze:
“John Ford aveva iniziato un percorso, io credo di averlo portato a termine”.
Titoli di coda. O giù il sipario, se preferite.

mercoledì 6 dicembre 2006

Settantotto banane

Sembra scritto ieri, con il computer e relativo correttore elettronico sotto i polsi, il condizionatore sparato a palla, non importa se sul freddo o sul caldo, basta che crei un microclima opposto a quello esterno, le sirene che trapassano i vetri al contrario di quel diavolo di moscone che non capirò mai come non riesca a vedere il vetro stesso, il cellulare spento e il telefono che squilla con melodie polifoniche e di riflesso insopportabili, il motore dell’ascensore a scandire le ore e i minuti della mattina, un cd jazz a sussurrare senza fruscii dalle venti casse del super impianto dato in omaggio con l’acquisto di un tostapane multifunzione, le antenne a sovrappopolare i tetti ustionati dall’amianto, la spia rossa del lettore dvd ancora accesa dalla sera precedente. Si, pareva di leggere Foster Wallace immerso in tutte le diavolerie tecnologiche che accompagnano con punte di malcelato nervosismo il nostro vivere contemporaneo. Allora sono andato a ricontrollare: avevo visto bene, questo qui ha buttato giù ‘sta roba nel 1948.
Sto parlando ancora di Salinger e dei suoi racconti, siamo nell’eccellenza:

- Signorina Carpenter. La prego. Conosco i miei doveri, - disse il giovanotto. – Tu devi solo tenere gli occhi bene aperti per il caso che passi qualche pescebanana. Questo è il giorno ideale per i pescibanana.
- Non ne vedo neanche uno.
- E’ comprensibile. Hanno delle abitudini molto singolari. Molto, ma molto singolari.
Continuò ad avanzare spingendo il materassino. L’acqua non gli arrivava al petto.
- E’ una vita molto tragica, la loro, poveretti, - disse. – Lo sai cosa fanno, Sybil?
Sybil scosse il capo.
- Vedi, nuotano dentro una grotta dove c’è un mucchio di banane. Sembrano dei pesci qualunque, quando vanno dentro. Ma una volta che sono entrati, si comportano come dei maialini. Ti dico, so da fonte sicura di certi pescibanana che dopo essersi infilati in una grotta bananifera, sono arrivati a mangiare la bellezza di settantotto banane -. Avvicinò di mezzo metro all’orizzonte il materassino e la sua passeggera. – Naturalmente, dopo una scorpacciata simile sono così grassi che non possono più venir fuori dalla grotta. Non passano dalla porta.
- Non troppo lontano, - disse Sybil. – E poi, cosa fanno?
- Cosa fanno chi?
- I pescibanana.
- Oh, vuoi dire dopo che hanno mangiato tante banane che non possono più uscire dalla grotta bananifera?
- Si, - disse Sybil.
- Ecco, mi rincresce molto di dovertelo dire, Sybil. Muoiono.
- Perché? – chiese Sybil.
- Ecco, gli viene la bananite. E’ una malattia terribile.
- C’è un’onda che sta arrivando, - disse Sybil nervosamente.

E poi non se voi l’abbiate mai fatto, ma io e altri bimbi/e spesso ci mettiamo a stilare classifiche in perenne aggiornamento su quali siano i titoli che ci fanno alzare in volo. Beh, questo si è inserito prepotentemente nei primi dieci posti della mia personalissima "titoloteca": Un giorno ideale per i pescibanana.

martedì 5 dicembre 2006

Il restauro olivastro

Effettivamente l’autunno riesce a dare pennellate pastellose che neanche Schiele dopo una pera di morfina. I rami apparentemente secchi, le olive mimetizzate meglio di Dutch nella giungla del Centro America (Predator – John McTiernan, 1987), tappeti di foglie paracadutiste, tutte le tonalità possibili del verde, compresa quella delle reti stese ad abbracciare tronchi rugosi, appena infastiditi dalla mia tenuta rosso acceso, cimelio dell’adolescenza vissuta da calciatore sul campo terroso dell’antistadio.
La radio in filodiffusione del vicino di contrada Beniamino (Cosimo, Ilario, Marfisia, è per certi versi curioso come ai lavori di una volta si associno con gigantesche venature nostalgiche i nomi di un tempo: ma che bisogno abbiamo dei vari Kevin, Natascia, Jessica, piuttosto che Dylan o Micheal?) solitamente accompagna il fruscio del vento con amenità in stile Laura Pausini o Gigi D’Alessio, ma domenica, il giorno ufficiale del raccolto, i transistor decidono di omaggiare i giovani intellettualoidi poco distanti fin dalle sette del mattino. Allora si comincia con Fellini Circus di Nino Rota, seguito (e qui le olive cadevano da sole) da War Pigs dei Black Sabbath decisi a far proseguire sulla loro ala – volete vedere che Beniamino legge ‘sto Blog - la sigla di Gigi La Trottola (ebbene sì) che crossa al centro per l’incornata imperiosa del Cervo a primavera del vietnamita Cocciante.
Per buoni 30 minuti tutte e dieci le estremità delle dita rischiano seriamente l’ipotermia prima dell’arrivo imperioso del dottor Sole che lenisce e sorride, scalda e rinnova.

Per i distratti copio e incollo i dati che il fattore ha provveduto ad inserire nel post precedente:
“Mi sento in dovere, a questo punto, di ufficializzare i dati di questa raccolta.

Olive raccolte: 460 kg.

Olive molite: 240 kg.

Olio prodotto: 41 kg (50 litri circa).

Acidità: 0,4 gradi.


Quantità scarsa ma ottima qualità, la migliore da quando facciamo le olive in contrada Santo Scalone.
Per chi non lo sapesse, un olio può essere considerato extravergine solo sotto 1 grado di acidità quindi ci siamo alla grande.”

Per dovere di cronaca ma soprattutto per farvi rosicare, comunico a tutti che il Signor Cosimo Padova e la sua lingua cinquecentesca godono di ottima salute. La formazione tipo (Il fattore Altamura, l’elaiotecnico ligure Gallit e l’operaio terriero Cirello) ha portato a casa il seguente risultato: due fritti di calamari, una zuppa di pesce (con orate), 1,5 litri di Primitivo per la cifra di 15 euro. Totali s’intende.
I discorsi sostenuti all’interno dell’osteria meriterebbero un saggio di Eco, allora vi rimando ad altri appuntamenti. Anzi, ci vediamo lì. Se la luce è accesa, Cosimo brilla con lei.