lunedì 27 settembre 2010

Portami una sedia. E vattene.

Era una notte insopportabilmente calda. Presi il lenzuolo e mi asciugai il sudore. Sdraiato sul letto, sentivo il mio cuore battere forte. Era un suono triste. Mi chiesi cosa stesse pensando Mercedes. Restai lì moribondo, col cazzo moscio.
Mercedes voltò la testa verso di me. La baciai. Baciarsi è più intimo che scopare. Ecco perché non mi è mai piaciuto che le mie ragazze andassero in giro a baciare gli altri uomini. Preferirei che se li scopassero.


da Donne – Charles Bukowski, 1978

Nella mini schitarrata post pasta e ceci (e primitivo) di ieri sera, ci si è resi conto (dopo una - al solito - illuminante elucubrazione di uno dei fratelli Altintop, Hamit, credo) come l’Ave Maria di De Andrè sia la canzone che almeno una volta vorremmo dedicare ad una donna, una qualsiasi, una donna bella in quanto donna. Una donna che attraversa la strada e cammina, che fuma una sigaretta su di una panchina, che raccoglie una monetina da terra e che rovista nella borsa, che legge all’ombra e inciampa sul marciapiede, che protegge la gonna dal vento e che scruta il nulla. Come solo loro sanno fare.
Le donne, insomma.
Quelle che, in un modo o in un altro, “sono tutte femmine un giorno e poi madri per sempre, nella stagione che stagioni non sente”.

Poi, stamattina (grazie Pierpa’), a proposito di donne e di dediche, è venuta fuori Adius di Piero Ciampi, che a differenza della prima, almeno nel concetto, abbiamo tutti, nessuno escluso, dedicato a labbra che non ne hanno più voluto sapere.
Allora sì, ”sai che cosa ti dico? Vaffanculo. Te, gli intellettuali e i pirati”.

martedì 21 settembre 2010

We need a leader to follow

Io seguii il suo culo, che ondeggiava, mulinava e cantava, e chiedeva di essere liberato dalla gonna, quel culo che chiedeva la liberazione di quell'elettricità che viene dalle ghiandole dell'uomo - quell'elettricità puzzolente che continua a mandare avanti la bruttezza della specie attraverso l'inutilità dei secoli.
Io lo seguii, come avevano fatto quelli che erano venuti prima di me.


da Niente canzoni d'amore - Charles Bukowski, 1990

domenica 12 settembre 2010

Al matrimonio

- Cirello: "Eeeeh, Santa Gianna Beretta Molla non manca mai!"
- Il ragno: "Sì, sì...ma chi cazzo è?!?"

martedì 7 settembre 2010

Di nuovo

Pare sempre difficile lasciarsi il mare alle spalle, soprattutto quando c’hai passato così tanto tempo insieme e di fila, senza pause e dormendo poco, con la sabbia nel ruolo di lenzuolo. Ma alla fine succede, a settembre. E’ da un po’ che non si scappa da questa consuetudine. Dalle mie parti sono sei anni. Un’estate che diventa sinonimo di agosto. Pure da sei anni. In cui ci si continua a prendere per il culo dicendosi di ripartire, ben sapendo che per farlo dovresti essere per lo meno partito.

Non me ne volete male dai, è normale un po’ di malinconia adesso, ora che mi chiedo senza risposta cosa mi facciano gli odori e i colori di questo primo periodo di brividi ai piedi, se l’effetto di Madame George di Van Morrison o di Movin’ Cruisin’ dei fratelli Carmelo e Michelangelo La Bionda.

In ogni caso è stato difficile andare avanti senza cd, chissà come saranno stati tutti da soli, con la sola luce a filtrare dalla serranda. Senza illuminare alcun corpo che balla.
Però gli amici sono stati qui per tutto il tempo, a parte il pingue andato via troppo presto perché il lavoro, come spesso accade, invece di nobilitare, allontana e basta.
La prima estate senza Lorenzino sotto la palma 3b ma con la capitaneria sempre presente. Anche se solo all’orizzonte. Come un fantasma che spaventa i bambini con la palla. Bello scambio di merda. Infame. Tipico della vita, direi.
Un’estate di birra e di sabbioni incredibilmente sempre vinti, e da noto difensore fabbro, senza mai segnare, conscio da tempo che no, non è vero un cazzo che un gol salvato equivale ad uno fatto. O meglio, per me lo è. Ma vallo a spiegare agli altri.

Un’estate che, al solito, mette le ali ai pensieri. E di riflesso insegna.
Tipo che portare rancore è solo una perdita di tempo.

giovedì 2 settembre 2010

Alboreto is nothing

La frase dell’estate (pronunciata durante un 5 contro 5 Pescara/Milano sulla sabbia rovente delle 2 di pomeriggio) è di tal Ercole, dopo un’entrata del buon Lollo - a onor del vero, a protezione della palla - che per i nostri standard (“o ragà, giochiamo piano ché questi sicuro rompono il cazzo”) equivaleva ad un massaggio morbido.
La risata, con i volti di quelli “ma vid’ addo cazz a da j!” è rimasta sotto i baffi, però, sarà che ci capito sempre di mezzo io, ma pare proprio che lo facciano appositamente, così, giusto per alimentare lo stereotipo del cumenda.
Per la cronaca, è finita 3a1 (il gol preso per una papera clamorosa del greco acquisito Placo). Con due azzoppati tra i lombardi:

“Uè ragazzi, ma non si può mica giocar così! Io tra una settimana devo andare a Dubai per lavoro!”