martedì 14 luglio 2009

Pourquoi pas?


I know I dreamed you a sin and a lie
I have my freedom but I dont have much time
Faith has been broken, tears must be cried
Lets do some living after we die

(da Wild Horses, in Sticky Fingers - Rolling Stones, 1971)

E sì che mi piace molto andare, mulinare con solo il rumore bianco ad accompagnare l’ombra dell’uomo che pedala con tutto il suo carico di fluida, meccanica precisione. Cazzo, sono davvero io?
Invece da poco le cuffie vincono col loro sapore di pulito, e proprio non dev’essere un caso che la modalità casuale faccia partire Wild Horses sotto al colosseo per due notti consecutive, stavolta subito dopo Claudio Lolli. Vaglielo a spiegare a Jagger che in bici il percorso più lungo può anche essere quello più rapido.
Allora penso che l’unica persona cui riesco a mentire sono io, ai voglia a ponderare e decidere subito dopo, è sempre una forzatura cercare appigli in solitaria: visto John Bachar?

In definitiva, nove volte su dieci bisogna essere in due, perché a crederci da soli non si fa torto a nessuno ma allo stesso tempo non si arriva da alcuna parte se non al fin troppo spremuto ma sempre rivelatore “desolato stillicidio del diventar vecchi” o al “forlorn rags of growing old”, se preferite.
Così, adesso, mentre scrivo, si fulmina la lampadina “a bassi consumi e alta efficienza” che effettivamente viveva da almeno quattro anni abarbicata in cima alla piantana alla sinistra della scrivania. E questo, scusate la franchezza, vorrà pur dir qualcosa.

8 commenti:

  1. Un Cirello sì riflessivo - meglio, meditabondo - ci mancava. Con in aggiunta il felice ammiccamento al nuovo che incalza, sotto forma di supporti sonori semovibili. Un augurio di infinite miglia di vita macinate tra le più alte colonne sonore esistenziali.

    "Improvviso il millenovecentocinquantadue passa sull'Italia,
    solo il popolo ne ha un sentimento
    vero
    mai tolto al tempo, non l'abbaglia
    la modernità,
    benché sempre il più
    moderno sia esso, il popolo (...)"

    Sor sulla misera riva dell'Aniene

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  2. Improvviso il millenovecentocinquantadue passa sull'Italia,
    solo il popolo ne ha un sentimento
    vero mai tolto al tempo, non l'abbaglia
    la modernità, benché sempre il più
    moderno sia esso, il popolo, spanto
    in borghi, in rioni, con gioventù
    sempre nuove nuove al vecchio canto
    a ripetere ingenuo quello che fu.

    Scotta il primo sole dolce dell'anno
    sopra i portici delle cittadine
    di provincia, sui paesi che sanno
    ancora di nevi, sulle appenniniche
    greggi, nelle vetrine dei capoluoghi
    i nuovi colori delle tele, i nuovi
    vestiti come in limpidi roghi
    dicono quanto oggi si rinnovi
    il mondo, che diverse gioie sfoghi

    A, noi che viviamo in una sola
    generazione ogni generazione
    vissuta qui, in queste terre ora
    umiliate, non abbiamo nozione
    vera di chi è partecipe alla storia
    solo per orale, magica esperienza;
    e vive puro, non oltre la memoria
    della generazione in cui presenza
    della vita è la sua vita perentoria.

    Nella vita che è vita perché assunta
    nella nostra ragione e costruita
    per il nostro passaggio e ora giunta
    a essere altra, oltre il nostro accanito
    difenderla aspetta cantando supino,
    accampato nei nostri quartieri
    a lui sconosciuti e pronto fino
    dalle più fresche e inanimate ère
    il popolo, muta in lui l'uomo il destino.

    E se ci rivolgiamo a quel passato
    che è nostro privilegio, altre fiumane
    di popolo ecco cantare, recuperato
    è il nostro moto fin dalle cristiane
    origini, ma resta indietro, immobile,
    quel canto si ripete uguale.
    Nelle sere non più torce ma globi
    di luce, e la periferia non pare
    altra, non altri i ragazzi nuovi.

    Tra gli orti cupi, al pigro solicello
    Adalbertos Comis Curtis, i ragazzini
    d'Ivrea gridano, e pei valloncelli
    di Toscana, con strilli di rondinini
    Hor atorno fratt Elya,
    La santa violenza sui rozzi cuori il clero
    calca rozzo, e li asserva a un'infanzia
    feroce nel feudo provinciale l'Impero
    da Iddio imposto e il popolo canta.

    Un grande concerto di scalpelli
    sul Campidoglio, sul nuovo Appennino,
    sui Comuni sbiancati dalle Alpi,
    suona, giganteggiando il travertino
    nel nuovo spazio in cui s'affranca
    l'uomo e il manovale dov'andastà
    iersera ripete con l'anima spanta
    nel suo gotico mondo. Il mondo schiavitù
    resta nel popolo e il popolo canta.

    Apprende il borghese nascente lo Sciairà,
    e trepidi nel vento napoleonico,
    all'Inno dell'Albero della Libertà,
    tremano i nuovi colori delle nazioni.
    Ma, cane affamato, difende il bracciante
    i suoi padroni, ne canta la ferocia,
    guagliune e mala vita! in branchi
    feroci. La libertà non ha voce
    per il popolo cane e il popolo canta.

    Ragazzo del popolo che canti,
    qui a Rebibbia sulla misera riva
    dell'Aniene la nuova canzonetta, vanti
    è vero, cantando, l'antica, la festiva
    leggerezza dei semplici. Ma quale
    dura certezza tu sollevi insieme
    d'imminente riscossa, in mezzo a ignari
    tuguri e grattacieli, allegro seme
    in cuore al triste mondo popolare.

    nella tua incoscienza è la coscienza
    che in te la storia vuole, questa storia
    il cui uomo non ha più che la violenza
    delle memorie, non la libera memoria,
    e ormai, forse, altra scelta non ha
    che dare alla sua ansia di giustizia
    la forza della tua felicità,
    e alla luce di un tempo che inizia
    la luce di chi è ciò che non sa.

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  3. beh, cirè, oggi alla nike ho visto "dal vivo" la nuova maglia della giuventus, tralasciando la consueta tristezza emanata dalla prima, quella dei carcerati, devo confermare il mio "gradimento" per la seconda...che ovviamente non comprerei mai, neanche sotto tortura, comunque, parlando da ESTETA, quale sono, senza ombra di dubbio, nonchè feticista delle divise calcistiche, facendoti così su due piedi, una breve classifica, un podio delle seconde maglie della giuventus, metterei la collocherei al terzo posto, seconda posizione per quella nera di qualche annetto fa, ai tempi di julio cesar, mentre primo posto indiscusso quella rossa con banda tricolore sul lato, quella della retrocessione per intenderci...uno dei motivi che potrebbe spingermi a comprarla ampliando così la mia personalisssssima collezzzzione privata, che un giorno metterò all'asta.

    è parola di montelli

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  4. "metterei quella argentata"

    me so scordato un pezzo...


    sempre montelli

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  5. Montè se compri la maglia delle rubentus non dirmelo ti prego. Valdo

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  6. è sempre un piacere sapere che il buon valdo, sornione come al solito (un po' come il supertelegattone), veglia su di noi.

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  7. E se c'è Serena Grandi... diamo la linea a Seimandi?!

    Sor e i tortellini in brodo la domenica... non torneranno più!

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