Portami una sedia. E vattene.
Era una notte insopportabilmente calda. Presi il lenzuolo e mi asciugai il sudore. Sdraiato sul letto, sentivo il mio cuore battere forte. Era un suono triste. Mi chiesi cosa stesse pensando Mercedes. Restai lì moribondo, col cazzo moscio.
Mercedes voltò la testa verso di me. La baciai. Baciarsi è più intimo che scopare. Ecco perché non mi è mai piaciuto che le mie ragazze andassero in giro a baciare gli altri uomini. Preferirei che se li scopassero.
da Donne – Charles Bukowski, 1978
Nella mini schitarrata post pasta e ceci (e primitivo) di ieri sera, ci si è resi conto (dopo una - al solito - illuminante elucubrazione di uno dei fratelli Altintop, Hamit, credo) come l’Ave Maria di De Andrè sia la canzone che almeno una volta vorremmo dedicare ad una donna, una qualsiasi, una donna bella in quanto donna. Una donna che attraversa la strada e cammina, che fuma una sigaretta su di una panchina, che raccoglie una monetina da terra e che rovista nella borsa, che legge all’ombra e inciampa sul marciapiede, che protegge la gonna dal vento e che scruta il nulla. Come solo loro sanno fare.
Le donne, insomma.
Quelle che, in un modo o in un altro, “sono tutte femmine un giorno e poi madri per sempre, nella stagione che stagioni non sente”.
Poi, stamattina (grazie Pierpa’), a proposito di donne e di dediche, è venuta fuori Adius di Piero Ciampi, che a differenza della prima, almeno nel concetto, abbiamo tutti, nessuno escluso, dedicato a labbra che non ne hanno più voluto sapere.
Allora sì, ”sai che cosa ti dico? Vaffanculo. Te, gli intellettuali e i pirati”.