Non ricordo da quale orizzonte sfumasse la luce
E l'anima d'improvviso prese il volo
ma non mi sento di sognare con loro,
no non mi riesce di sognare con loro.
(da Un malato di cuore - Fabrizio de Andrè, 1971)
Pareva Pina (Roma città aperta - Roberto Rossellini, 1945) incerta su quei tacchi
bassi di una volta, disperata nell'ultima corsa della vita verso una
libertà che sarà solo per Francesco, vedovo prima d'esser marito.
Sgraziata come non può essere altrimenti, persino nel bere, come
s'imparava da bambini in tv, con la voce di Claudio Capone in
sottofondo.
E poi provateci voi a correre sinuosi e coordinati avendo il
collo più lungo delle gambe.
Le foto della Giraffa in fuga per le
strade di Imola sono agghiaccianti perché dipingono il terrore di
sentirsi persi, imprimono negli occhi l'inutilità del tentativo ma
disegnano chiaramente il confine che unisce l'istinto all'eroismo, la
morte alla speranza. La certezza di sapere che nessun essere vivente
nasce per stare in gabbia, anche se le sbarre son la prima cosa
che vedi appena uscito, caduto per terra ancora umido e rincretinito da più di un metro e mezzo
d'altezza. Con addosso la violenza della luce, che
non pensi di poter amare così tanto in così poco tempo.
Così, guardare quelle immagini, fa
tifare e tremare come i compagni che attendono in “end zone” la
fine dell'impresa del soldato Tosh (Non è più tempo d'eroi - Robert Aldrich, 1970) barcollante e in solitaria a
schivar bombe e proiettili giapponesi in campo aperto.
“Non serve che mi addormentiate”,
mi piace pensare sia stato questo il suo ultimo pensiero,
prima di ordinar al cuore di scoppiare per andare a sognare con chi
avrebbe voluto, più o meno come accade da più di trenta milioni di
anni.
Ed è qui, infine, che l'abusato
aforisma di Wilde trova la sua sublimazione:
“Più conosco gli uomini, più amo le
bestie.”