martedì 26 agosto 2008

Don Gino

Ad esempio a me piace vedere
la donna nel nero del lutto di sempre
sulla sua soglia tutte le sere
che aspetta il marito che torna dai campi


Glielo diceva sempre la Signora Melfisia di calmarsi un attimo, e invece Don Gino, il marito, proprio non ce la faceva a star fermo. Quelle mani enormi, quelle dita che identificano le generazioni di una volta non ne volevano sapere di rimanere intrecciate senza far nulla.

Sono ormai 4 volte che inizio a scrivere questa pagina, in quella situazione tipica dello scrittore Cirello, che in testa sembra un ispiratissimo Hemingway e poi si ritrova nelle dita i polpastrelli di un tristissimo Moccia.

Partiamo dalla fine allora.
Cari bevitori, gentili amanti delle cose pure della vita, estimatori del pudore di una volta e delle rughe sapienti di qualsiasi nonno: Don Gino è morto a 84 anni. Don Gino non c’è più. Almeno su questa terra. Viva Don Gino.

Eravamo passati a trovarli, DonGinoeLaSignoraMelfisia, giusto una settimana fa, e loro erano in forma come sempre, lui in nasone roseo e gli occhi ogni volta sul punto di sorridere, con indosso la camicia gialla a quadretti (tipica divisa estiva) e la sapienza dell’alchimista nel miscelare a dovere il vino con la gassosa, a prescindere dalla capacità della bottiglia; lei con il capello sempre a posto, energicamente minuta, pronta a girare la manovella di quella magnifica affettatrice di prosciutti non cotti.

Alla chiusura, rigorosamente prima di mezzanotte, l’avevamo aiutato a mettere dentro le panche e i tavoli con la tipica serie infinita di grazie e per piacere.

Camminare con quel contadino
che forse fa la stessa mia strada
parlare dell'uva, parlare del vino
che ancora è un lusso per lui che lo fa


Ironia della sorte le ultime parole parlavano di birra e di quelle bottiglie vuote prese per un ultimo sguardo sulla collina e che avremmo dovuto lasciare nelle casse a rendere. Aveva attraversato la strada per dircelo, canonicamente prima dell’arrivo del nuovo giorno.
Perché Il Cignotto, come tutti lo chiamavano infischiandone che per l’anagrafe circolesca il suo nome fosse “Circolo ACLI Madonna del Freddo”, raramente chiudeva dopo la mezzanotte, anzi. E per questo era riuscito a cambiare le nostre abitudini (per la gioia di mio padre mi verrebbe da dire): si usciva da casa immediatamente dopo cena, altro che alle undici e mezzo. Pazienza se dopo, belli carichi, si facevano le 5 di mattina ogni volta.
Da che mondo e mondo erano sempre stati i chietini a scendere verso Pescara. Il Cignotto invertì questa tendenza e dal nostro esordio, ormai più di dieci anni fa, riuscimmo col tempo a conquistare un posto importante su quei tavoli, pronti a ricevere sorrisi e attenzioni e bonari rimproveri, quando il tono di voce, complici le bottiglie vuote, inevitabilmente si alzava.

Lo sbattarello e le passatelle varie, l’asso bimbone, i battesimi di chi arrivava pensando di sapere e invece usciva carponi, le testate nel bagno esterno, la magnifica pezzetta asciugatrice di scoli, i grazie e i per piacere lanciati come petali ai piedi del sovrano di Zamunda, “non sei tu che me lo dai ma sono io che me lo prendo”, l’amore mai nascosto tra Melfisia e il Nano, che lì dentro cambiava nome in “coccia pilata”, le occhiate, le risse iniziate e mai finite, “zitt’ tu che sti bbeve la birre a lu cignotto” sentenziò un robbiello in gran forma, Lo Zio a chiamare l’hip hip in attesa dell’hurra dei viandanti alternativamente per lui o per lei e lui o lei che arrossivano ogni volta, l’orgoglio di quando riuscimmo ad avere il numero di casa, esattamente al piano superiore, “Ci facciamo un ultimo litro? Tanto è un bicchiere a testa.” “Don Gino, per piacere, ci porta un altro litro per favore? Grazie.” “Sì, sì, facciamo subito.” “Anzi, per favore, facciamo due ché siamo in tanti, grazie.”

Poi succede che chiama Le Fonce e “C’era l’epigrafe sulla serranda” che inevitabilmente fa scattare una serie infinita di lacrime e brindisi e tintinnii squillanti.
Allora si fa in tempo a salutarlo per l’ultima volta proprio alla curva che anticipava lo spettacolo, ed è una bellezza vedere così tanta gente, 3 generazioni a rendergli omaggio, il sole, le campane che suonano, gli occhiali scuri, e porca troia che ho dimenticato il fazzoletto sul letto, la Signora Melfisia sorretta a stento, e io che non mi ci abituerò mai a questa cosa che chiamano morte, con buona pace del prete di turno che cerca di convincere le guance rosse di quello che le guance non riescono a vedere semplicemente perché non c’è niente da vedere, Don Gino non c’è più, e diventa pure difficile trovare un bar aperto subito dopo, perchè chiaramente chi gestisce i bar è lì su quella piazzetta alla ricerca di una zona d’ombra, bisogna andar giù, parecchio a valle per un bicchiere calato in ricordo.

E voglio in questo modo dire sono o forse perché è un modo pure questo per non andare a letto o forse perché ancora c’è da bere e mi riempio in bicchiere. E l’eco si smorzato appena delle risate fatte con gli amici dei brindisi felici.

E adesso?
Come farà La Signora Melfisia?
Come fa una sedia a reggersi senza due gambe?
Perché i posti finiscono con le persone?
Perché le persone finiscono?
E io dove vado?

Rimangono il Sior Nicola e il suo Serrone, la mia medaglia d’argento e il bronzo quasi conquistato da Capriele de La Cisterna ma in entrambi i casi si parla di birra e di luoghi differenti, comunque lontani anni luce da chi sto tentando malamente di omaggiare con un Gaetano e un Guccini qua e la'.

Parole sparse perché oramai complice il sole mi metto pochi minuti al giorno su questa tastiera e le dita non scorrono come vorrei. E poi mi vengono automaticamente gli occhi lucidi con Giulia che mi ricorda di quella volta che la Signora Melfisia le chiese scusa per averla chiamata signora, “Non ti avevo guardato le mani”.

“A Don Gino. Con affetto.
Gli amici del Circolo”

Ti prometto una cosa DonGi’, come già ho iniziato a fare,
insieme “alla faccia di chi ci vo male”, “nin pozza manca mai” e “alla fregna”, nella mia routine di brindisi ce ne sarà sempre uno per te, semplice come le cose buone:
“A Don Gino uagliu’”.

Ma come fare non so
Si devo dirlo ma a chi
se mai qualcuno capirà
sarà senz'altro un altro come me.


E per Don Gino Hip Hip!
Hurra! Hurra! Hurra!

giovedì 7 agosto 2008

Una valigia di francobolli

Finalmente verso la sabbia e l'acqua salata.
Spero di star bene. Di ridere un sacco.
Le tibie sono pronte, le persone giuste mi stanno aspettando. Serrone, cignotto, sabbione, rostelli, racchettoni, gintonic, ginghelli, brocche e cicchetti, gianni, la panza di ivano, musica, spero poche risse, schitarrate, albe e tramonti, amori e sorrisi, bimbi che crescono e a 'sto giro pure un po' di montagna.

Vi lascio con il libro che leggerò insieme ai raggi:

"Spesso la gente non ha le emozioni chiare, altro che le idee."
(Non avevo capito niente - Diego De Silva, 2008)

martedì 5 agosto 2008

In agosto

Capita che vai a comprare un libro in centro e d'improvviso ti ritrovi in una sorta di guerra civile invisibile, con tutti questi ragazzi ornati da divise grigie o giallognole, smunte, quasi consumate dal sole cocente.
E con in mano dei mitragliatori giganti che manco Mac in Predator (John McTiernan, 1987):
"Gli ho sparato dritto addosso 20 caricatori dell'M60, li ho vuotati. Niente di questa terra sarebbe sopravvissuto."

(note di traduzione: in realtà il mitragliatore usato da Mac - Bill Duke - è un M134 Vulcan)

Forse è solo il caldo. Sì, la mia testa deve aver assorbito troppi raggi, vado al mare va. Al ritorno, sarà tutto scomparso. O morto.

venerdì 1 agosto 2008

Drinking all night

Non ci sono cazzi, per me la canzone da tramonto di quest'estate è senza dubbio Sloop John B versione Beach Boys (Pet Sounds, 1966).
Volume rigorosamente a palla, braccio fuori dal finestrino a lottare contro il vento, occhio socchiuso baciato dal sole che va a dormire.

Basta poco a farmi sorridere beato dentro la macchina brizzolata.
E sempre sia lodato Brian Wilson.