giovedì 8 gennaio 2009

Sempre alto sui naufragi

"...Sicuramente della morte. Non tanto la mia, che in ogni caso quando arriverà, se mi darà il tempo di accorgermene, mi farà provare la mia buona dose di paura, quanto la morte che ci sta intorno, lo scarso attaccamento alla vita che noto in molti nostri simili che si ammazzano per dei motivi sicuramente molto più futili di quanto non sia il valore della vita. Io ho paura di quello che non capisco e questo proprio non mi riesce di capirlo."
(Fabrizio De Andrè, speciale TG1, 1989)

Volevo ripercorrere la mia storia deandreiana, partendo da quella audiocassetta di Callara inizialmente snobbata, Il Viaggio, per arrivare ad ora, con Sogno numero due che rimbomba nella stanza. Poi ho deciso di fermarmi, altrimenti non sarei riuscito a farlo dopo.
Troppe facce e risa e occhi sudati. Troppe chitarre da suonare con sole due mani a disposizione.

Intanto continuo a sperare che qualcuno di nuovo ascolti le sue canzoni o una sua intervista e immediatamente capisca di aver sbagliato tutto, mentre non smetto di domandarmi perché quel pomeriggio dissi no al buon Labroz che mi chiedeva di accompagnarlo al concerto. Stupido che non sono altro.
Con estrema semplicità, credo che se ci fosse un po’ più di De Andrè in ognuno di noi, le persone, la vita, le relazioni e quant’altro cambierebbero faccia. Sì, son convinto che il mondo tutto andrebbe un tantino meglio.

Allora lascio parlare lui, con un’autorecensione in cui c’è tutto: la timidezza, il bruciore della voce, la poesia, l’onda nei capelli, l'ironia, una gamba poggiata sull’altra, l’utopia, la cura della lingua, gli eroi, l'amore, le dita con in mezzo una sigaretta, la curiosità, l’anarchia, quei quattro mesi, la capacità di entrarti dentro in ogni gesto e le maniche tirate su di quello che "precauzionalmente si considerava un cantautore".

"Certe volte mi sentivo inorgoglito, altre volte deluso, ma sempre in ogni caso un po’ vergognoso a vedermi quasi costretto a sfogliare le riviste specializzate per scrutare con un occhio quasi da lumaca, fuori dalle orbite, quale posizione avesse ottenuto in classifica il mio ultimo cosiddetto “prodotto discografico”, perché questo voleva dire che il disco in quanto funzione, oggetto di consumo, aveva assunto un’importanza superiore a quella delle canzoni per le quali viveva e nelle quali sinceramente mi sentivo di avere vissuto.
Mauro Pagani la pensava allo stesso modo, forse anche per questo motivo la reciproca stima, il progetto comune, il tentativo di ricondurre la canzone alla sua funzione primaria. Il canto ha infatti ancora oggi, in alcune etnie cosiddette primitive, il compito fondamentale di liberare dalla sofferenza, di alleviare il dolore, di esorcizzare il male.

Certo, le canzoni le abbiamo comunque registrate e da noi sembra con buoni risultati tecnici. Però penso che mai come nel caso di questo "Creuza de ma", di questa "mulattiera di mare", traduzione volutamente approssimativa per quanto desiderava essere descrittivamente precisa. Mai come in questo caso dicevo, il disco ha assunto una funzione molto ridotta rispetto alle canzoni di cui vive, diciamo pure la funzione che può avere la stringa nei confronti di una scarpa. O addirittura nei confronti di un mocassino.
Ci sono sicuramente altri motivi per cui si è deciso di fare canzoni di questo tipo, motivi tutti egualmente di rilievo e a cui sinceramente non riuscirei a dare un ordine di importanza. Ad esempio la scelta stilistica: una volta individuati gli strumenti etnici che - in quella che qualcuno ha voluto chiamare una piccola odissea - volevano ricondurci alle atmosfere del bacino del mediterraneo, dal Bosforo a Gibilterra, era necessario adottare ai suoni che tali strumenti riproducevano una lingua che ci scivolasse sopra e evocasse attraverso fonemi cantati - indipendentemente quindi dalla loro immediata comprensibilità - le stesse atmosfere che gli strumenti evocavano.
A noi la lingua più adatta era sembrata fosse il genovese, con i suoi dittonghi, i suoi iati, la sua ricchezza di sostantivi ed aggettivi tronchi che li puoi accorciare o allungare quasi come il grido di un gabbiano.

Di motivi che ci hanno indotto a scrivere di queste "ombre di facce", di queste "facce di marinai" a cui "la notte punta il coltello alla gola", di questi "emigranti della risata con i chiodi negli occhi", ce ne sarebbero ancora molti da esaminare. Meglio quindi passare a descrivere direttamente i personaggi, la tipologia umana raccolta nelle canzoni, un’umanità che sinceramente susciterebbe la mia e l’altrui ilarità se dovessimo vederla esposta nelle vetrine di una gioielleria del centro di una metropoli. Un campionario umano, al contrario, che bisogna andarsi a cercare "ne ‘a mondezza" come dicono a Roma, o "in tu rumentà" come si usa dire a Genova. Insomma, nella spazzatura."

6 commenti:

Anonimo ha detto...

"in ta rumênta" si scrive, e si dice (a Sarzana poi il Rumenta è diventato sinonimo del Mohito, ma queste sono altre storie) a tal proposito sentiti questa canzone in genovese di Parodi, amico di De Andrè, cantautore rimasto però tra Prà e Nervi.

http://it.youtube.com/watch?v=UXNHkszZ2Xs

Gallit

Anonimo ha detto...

eh eh, volevo quasi chiamarti prima di scriverlo, ho fatto anche una mezza ricerca on line senza torvar soluzione.

infatti eccoti qui, grazie gallit, tassonomico come sempre. e comunque quando dice "quasi come il grido di un gabbiano", il brivido parte un po' dappertutto e ci mette davvero molto a trovar l'uscita. ora ascolto la canzone.

cy

Unknown ha detto...

cirè e che cazzo...mi cadi su "in ta rumenta" chi sti a lu salentu che dici "in tu rumenta"
non conoscessi liguri pure pure...ma celllai!cribio

comunque sul fatto monnezza, o munnezza, ti potrei aggiungere anche "rusco"
cosi diamo una bella botta e via...

ma non per parlare di monnezza bensì del mio ultimo acquisto...ennesima bicicletta presa in "leasing" in via zamboni...

venditore:"fumo?"
montelli:"bici?"
V:"vuoi una bici?"
M:"no te la voglio vendere...SI CAZZO!"
V:"stai calmo, stiamo lavorando mica..."
M:"..."
V:"tieni questa è bellissssima 20 euro"
M:"seeeeeeeeee"
V:"quanto allora?"
M"dieci! tanto tra due settimane la riemtto in circolazione..."
V:"ma se io l'ho pagat..."
M:"ngi pruà!dieci euro e 4 sigarette!"
V:"cinque sigarette"
M:"preso"

speriamo che duri almeno un mese


montelli

Anonimo ha detto...

Buon anno cire', la trinacria e Dublino ti salutano. Che Faber sia con noi, ne abbiamo bisogno.
fredo

Anonimo ha detto...

fai come il buon cirello montè, portala su ogni sera (ti ci vedo proprio), altrimenti, nonostante il mega catenone, farai la solita fine di voi poveri bolognesi: prima sparisce una ruota, poi il sellino, poi il manubrio, poi l'altra ruota.

cy (al quale le bici di montelli e i motorini de la signora han sempre dato una grossa mano)

Anonimo ha detto...

io vorrei delucidazione da gallit sull'associazione rumenta/mojito.

potrebbe nascere un dibattito interessate.