Mille bolle blu
Tra le cose che non capirò mai, c’è quel terrore, quella fretta senza senso che porta i più a scappare dal mare e fuggire dalla spiaggia alla prima goccia di pioggia, invece di star lì a farsi massaggiare il naso mentre con la lingua giochi con quel rivolo scivolato sulle labbra già salate.
Una pioggia al limite dell’apprezzabilità, che cade senza bagnare quasi venisse giù da nuvole caricate a salve.
Allora il sabbione dà più gusto anche perché tiratissimo, con le piante dei piedi già provate dalla sera precedente sotto il portico del microcalcetto, in ricordo sempre vivo di quelle domeniche pomeriggio di facce brufolose con 90° minuto pronto al triplice fischio.
Finirà dieci a otto dopo quasi due ore di corpi sudati, falli maliziosi e grappoli di polemiche inevitabili, scritti nel dna di porte senza reti né traverse, di falli laterali limitati dalla risacca del mare da una parte e linee sbilenche scritte dai talloni sulla sabbia dall’altra.
E poi ti accorgi che il gol decisivo e relativa corsa a culo di fuori verso quella che è stata e sarà l’alba è ancora più sapido del solito perché no, in un sabbione non mi puoi chiamare un fallo per un’inventata entrata a piedi uniti o ancor peggio per una spallata, proprio tu poi, lo sconosciuto confinante, forte quanto vuoi, ma troppo “ex calciatore” (la Treccani gli concederà una voce prima o poi) per vincere una partita di questo tipo.
Prendi e porta a casa allora, e se un giorno tornerai da queste parti, ricordati di salutare prima di andar via.
Tutto questo per dire che poi è tornato il sole. Con le oche inevitabili.
E se ancora non si fosse capito, c’avrei scommesso gli occhi.
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