Vince il libro?
Da consuetudine ormai diventata casalingo paesaggio, il libro letto dall’avvocato, riposa dolce, caldo e morbido sul termosifone alla sinistra del cesso.
A questo punto potrei dilungarmi sull’assoluta goduria che provoca il sedersi sulla tazza - per i bisogni più importanti - con un calorifero caldo di fianco (magari con la pioggia che suona all’esterno), ma lo farò in altre occasioni.
Il libro dell’avvocato dunque (a proposito di titoli professionali, tutor forse non ricordo bene, correggimi: “Abbiamo comprato Platini per un tozzo di pane. Lui ci ha messo sopra il caviale”, questo era l'Avvocato).
A scaldarsi le chiappe, in questo fine gennaio di sole frizzante, è Una vita da lettore (Nick Hornby, 2006). In quarta di copertina, come in ogni quarta di copertina che si rispetti, c’è la frase che dovrebbe convincerti a comprare il parallelepipedo cartaceo:
I libri, ammettiamolo, sono meglio di qualunque altra cosa. Se organizzassimo un campionato di fantaboxe culturale, schierando sul ring i libri contro il meglio che qualunque altra forma d’arte abbia da offrire, sulla distanza delle quindici riprese…be’, i libri vincerebbero praticamente sempre.
Ricordando che tutte e quattro le federazioni pugilistiche più importanti, hanno deciso di ridurre nello spazio di quattro anni (dall’82 all’86, in seguito alla morte di Deuk-Koo Kim dopo l'incontro con Ray "Boom Boom" Mancini), la durata dei match iridati da 15 a 12 riprese, vorrei soffermarmi sul fantaincontro di cui sopra.
Dico subito che in linea di massima mi trovo d’accordo con Hornby. Ma con delle riserve.
Certo, come dice lo stesso scrittore, potrebbero esserci alcune eccezioni, ad esempio un ottimo album di Dylan vincerebbe contro un Dickens meno ispirato.
Dal canto mio credo che la vittoria di una forma d’arte su di un’altra abbia molto a che fare con il tipo di fantasport praticato.
Mi spiego meglio: se si giocasse a tennis sul Centre Court - il campo centrale - di Wimbledon al meglio di 5 set, i migliori Pink Floyd vincerebbero sul miglior Hemingway (ipotizzo un punteggio: 6-1, 6-4, 2-6, 4-6, 7-5), che però potrebbe prendersi una consistente rivincita se si cambiasse superficie, ad esempio sulla terra del Philippe Chatrier di Parigi (6-4. 5-7, 6-3, 6-2 per l’uomo con la barba).
Allo stesso modo, Rising Sun di Paul Klee vincerebbe per distacco una maratona contro Tropico del cancro di Henry Miller (diciamo 2h 25’ 46’’ contro 2h 48’ 01’).
Dipende molto, se non tutto dal campo di gioco, dalle caratteristiche fisiche di ogni prodotto dell’uomo, dell’arte quindi.
Ci vuole classe d’accordo (ricordate il buon Chuck Wepner, discreto pugile ma nulla più, che riuscì a metterè K.O. Mohammed Alì, prima di lasciar crollare la sua maschera di sangue al tappeto a pochi secondi dalla fine della quindicesima e ultima ripresa?), ma occhio alle certezze, il colpo della domenica può arrivare da un momento all’altro, magari non nel tennis, forse non nella maratona, ma stiamo attenti a parlare di pugilato. Fino all’ultimo secondo, che tu sia Dante o Baricco, l’importante è tenere la guardia bella alta.
La potenza è l’ultima dote ad abbandonare un pugile. (Rino Tommasi)