venerdì 27 novembre 2009

G

Fu un periodo d’oro quello tra la fine degli anni 80 e la prima metà dei 90, specialmente in due categorie di peso, medi (limite 72,58 kg) e supermedi (76,20). Parlo di pugilato ovviamente.

C’erano un sacco di atleti, pugili dal talento più o meno spiccato. Tutti neri come il carbone. E tutti, per dirla in gergo, che “facevano male”. E non è questione di muscoli o altre cose, nessuno la saprà mai spiegare questa cosa qui ma il pugile ci nasce così, hai voglia a far pesi e figure in palestra, se “fai male” lo fai a prescindere. Bum, luci spente.

Si chiamavano Bernard “The Executioner” Hopkins, Roy Jones “Junior”, James “Lights Out” Toney, Thulani “Sugar Boy” Malinga, Chris “Simply the Best” Eubank, Micheal “Second to” Nunn, Iran “The Blade” Barkley, Julian “The Hawk” Jackson, e bastava osservarli sul ring o leggere dei loro risultati per smettere di sorridere ascoltandone i soprannomi.

“The Dark Destroyer” e “The G-Man” ad esempio, si incontrarono una volta sola, il 25 febbraio del 1995, con in palio il titolo mondiale dei supermedi versione WBC. Nessuno si dimenticherà più di quell’incontro, non solo perché venne definito “Fight of the Year” da KO Magazine.

Il distruttore nero rispondeva al nome di Nigel Benn, trentuno anni, inglese dei sobborghi di Londra, indiscusso campione in carica da tre anni, alla settima difesa del titolo. Due sconfitte, un pari e 39 vittorie, 32 delle quali per KO.

La G invece stava per Gerald, Gerald McClellan, ventisettenne statunitense di Freeport, nell’Illinois, 31 vittorie, 2 sconfitte, 29 KO. Nell’ultimo anno e mezzo, per capirci, “The G-man” aveva difeso per tre volte il titolo dei medi senza mai sentire la seconda campana: tre vittorie al primo round. Come contro Jeff Bell, finito al tappeto dopo venti secondi, a seguito di un terrificante montante sinistro al plesso solare: il più veloce ko nella storia dei mondiali dei pesi medi.

Poi la mancanza di stimoli e i sempre più frequenti problemi con la bilancia ed eccoci al 25 febbraio, a casa del detentore, in una London Arena gremita fino al soffitto.

Gli scommettitori danno sfavorito il campione 4-1 ma il pubblico sembra non curarsene. Almeno fino all'inizio del match, almeno fino a quando si rimane ad ascoltare le presentazioni del biondo Jimmy Lennon Jr, il ring announcer figlio d’arte più famoso d’america.
Poi si inizia e McClellan è una furia, il destro è una saetta e il gancio sinistro – il suo marchio di fabbrica – pronto a chiudere ogni combinazione. Benn, prova a schivare molto basso e molto veloce, come suo solito, ma non serve: bastano 35 secondi e il distruttore è investito da una serie di colpi che lo scaraventano fuori dalle corde, con la schiena quasi sul tavolo dei giornalisti.

L’arbitro, il francese Alfred Asaro, inizia la sua pessima prestazione contando in maniera molto lenta, permettendo al campione di scuotere la testa e rientrare, prima di venire nuovamente aggredito da G-Man. E’ una prima ripresa da incubo per Benn, che cerca di legare e sfuggire giocando con le corde, aiutato ancora dall’arbitro, autore di una serie di interventi incomprensibili (“What is this guy doing?”, si chiede incredulo il telecronista). A 22 secondi dal termine, Benn mette a segno un gancio sinistro di rimessa, McClellan è costretto ad indietreggiare per la prima volta. Non sarà l'ultima.

Inizia così una battaglia selvaggia con i due a massaggiarsi fianchi e mandibole in mezzo ad una bolgia che pare di essere all’Old Trafford in cui ogni colpo somiglia al gol decisivo.
Così alla seconda ripresa, alla terza, quarta e quinta e sesta, quando un gancio destro di Benn fa volare il paradenti di McClennan tra l’esultanza di Frank Bruno, appostato a bordo ring nell’imponenza della sua giacca rossa.

A trenta secondi dalla fine dell’ottava è un diretto destro ad aprire la strada, Benn è alle corde, ne subisce un altro e un altro ancora prima di cadere in avanti sul suo stesso disperato tentativo di rientrare col gancio sinistro. E’ il secondo conteggio.
Il primo colpo della nona è ancora un diretto destro, ancora di G-man, ma è Benn a venire fuori a metà ripresa, con un gancio destro molto preciso ma talmente sbracciato e scomposto da farlo sbilanciare verso il rivale. Le due teste si toccano, i dredd del campione finiscono negli occhi di McClennan che si lamenta tra i fischi del pubblico e la nullafacenza dell'arbitro.

Decima ripresa:
McClellan sembra più in palla, saltella e gira intorno al campione che pare subirne la freschezza. Dopo un minuto però, è Benn a scegliere bene il tempo, incrociando il sinistro di G-Man con un destro che non credi sia più definitivo degli altri. Passa un secondo e McClellan mette un ginocchio a terra. L’arbitro inizia il conteggio fissando il pugile negli occhi. G-man si alza al sette, sul cronometro ancora 1 minuto e 51 secondi. Il campione incalza lo sfidante che cerca disperatamente di legare. Poi ancora un montante destro e il ginocchio di G è di nuovo al tappeto:
le telecamere indugiano sul suo volto, con le palpebre che sbattono con più frequenza del solito così come il fiato dalla bocca e gli occhi a guardare il delirio degli spalti e le mascelle che si contraggono. L’arbitro continua il conteggio con G sempre nella stessa posizione, il ginocchio destro a terra e il braccio sinistro poggiato sull’altra gamba, pronto a far forza per rialzarsi.
Lo farà, ma all’undicesimo secondo, dirigendosi verso l’angolo con calma e senza curarsi delle braccia al cielo di Benn.

Arrivato all’angolo G rimane per un attimo in piedi, prima di sedersi per terra rifiutando lo sgabello, con le braccia poggiate alle corde.
G fa appena in tempo a muovere un po’ la testa e forse a rispondere ad un paio di domande del dottore prima di infilarsi in un abisso dal quale non uscirà più.

Gerald McClellan viene trasportato al Royal London Hospital. Il giorno dopo gli verrà asportato dal cervello un ematoma di cinque centimetri di diametro, ma non servirà ad assicurargli la vita di prima.

Dopo undici giorni di coma e speranze, McClellan torna a casa. Cieco, con l’80% di invalidità e praticamente senza memoria.
Abbandonato dalla moglie e dai tre figli, vive sotto la costante cura della sorella e delle cugine che continuano ad ipotecare beni per poter proseguire le cure di Gerald. “This is my money maker”, ripete balbettando G stringendosi il pugno.

Da quel 25 febbraio nessun pugile a parte Roy Jones Jr (fondatore anche della fondazione McClellan) è mai andato a trovare G-Man, forse per lo spettro di potersi ritrovare in quella situazione, senza riuscire a camminare o a tenere un bicchiere in mano. O più probabilmente per vigliaccheria.

Con 12 anni di ritardo, il 24 febbraio del 2007, il mondo della boxe si riunisce a Londra per McClellan, c’è anche Nigel Benn, “il distruttore nero”, che nel frattempo si è trasferito a Maiorca, dov'é diventato un ministro di culto di fede cristiana.
Nel corso della serata sono stati raccolti 175.000 dollari a favore di McClellan e 25000 dollari a testa da parte dei padri padroni del pugilato contemporaneo, Don King e Frankie Warren.

Un grande gesto, considerando che quel 25 febbraio 1995, Don King, organizzatore della serata, intascò tra spese e percentuali, il 70% dei 400 milioni di borsa.

www.geraldmcclellan.com

giovedì 26 novembre 2009

Influenze

Andare ad ascoltare i Tortoise dopo aver passato buona parte del pomeriggio nella curva Maratona a sentire le varie versioni di Sloop John B in salsa granata, è stata un'esperienza piuttosto interessante.

Se ci mettete anche la serata di Champions League lasciata volentieri ad ammuffire nel televisore spento (e meno male a 'sto punto), si capisce subito perché stanotte mi è parso di dormire in una bolla di sapone, fluttuando in un settore qualunque di uno stadio qualunque.

mercoledì 18 novembre 2009

Tutto merito dei baffi

Si va be', questi ci stanno per privatizzare pure l'acqua (la prossima vittima pare sia l'aria, come la vedete una società del tipo "Aria di Roma S.p.A.?) ma la notizia del periodo è sicuramente quella legata al mio nuovo mito ufficiale: Marco Predolin.

martedì 10 novembre 2009

Gegiù

Non intendo cantare la gloria
né invocare la grazia e il perdono
di chi penso non fu altri che un uomo
come Dio passato alla storia
ma inumano è pur sempre l'amore
di chi rantola senza rancore
perdonando con l'ultima voce
chi lo uccide fra le braccia di una croce.


(da Si chiamava Gesù, in Volume I - Fabrizio De André, 1967)



A. Fermo restando il mio totale ateismo della seconda ora (perché durante la prima no, proprio no) vorrei comunicare in scioltezza delle cose di una banalità sconcertante.
Rubo allora da Corrado Augias quando rispose così a chi lo interpellava sulla questione crocifisso in classe a seguito della sentenza della corte europea dei diritti dell’uomo di Strasburgo:

Primo: il crocifisso è un simbolo religioso, non politico o sportivo. Secondo: questo simbolo identifica una precisa religione, una soltanto. Terzo: dunque la sua esposizione obbligatoria nelle scuole fa violenza a chi coltiva una diversa fede, o altrimenti a chi non ne ha nessuna. Quarto: la supremazia di una confessione religiosa sulle altre offende a propria volta la libertà di religione, nonché il principio di laicità delle istituzioni pubbliche che ne rappresenta il più immediato corollario.

B. Successivamente, ad un lettore che lo accusava di non capire – ma qui si passa all’ora di religione – che “la cultura giudaico-cristiana fa parte – le piaccia o meno – delle nostre radici storico-culturali come anche la libertà di aderire o meno a questi insegnamenti”, ribatteva argomentando questa frase che per quanto mi riguarda basta da sola:

la scuola pubblica di uno stato laico è un luogo dove si insegnano delle discipline, non una fede. Per conseguenza se un prof di religione racconta la storia del cristianesimo e di altre religioni, le compara e ne discute, io non ho obiezioni.


Detto ciò, sarebbe interessante analizzare - tornando al punto A – le farneticazioni del nostro ministro della difesa, che non è Walter Samuel (quand’era in maglia giallorosa) ma Ignazio La Russa, ospite qualche giorno fa all’interno della seconda vita di Lamberto Sposini su questa terra:

1. - La Russa (parlando del matematico Piergiorgio Odifreddi): “Non ha alcun titolo scientifico per essere un esperto di religione.”

Ora, considerando la completa idiozia di questa affermazione, vorrei che a rispondere fosse un giudice di Springfield, nella puntata in cui la sempre scettica Lisa Simpson è l’unica a non credere che lo scheletro trovato sotto terra, sia davvero quello di un angelo (infatti poi si scoprirà essere una pubblicità di un centro commerciale di prossima apertura):

- Giudice di Springfield: “Riguardo la scienza contro la religione emetto un’ordinanza restrittiva: la religione deve tenersi a duecento metri di distanza dalla scienza.”

2. Non contento, il ministro prosegue: “Dicevano delle sciocchezze enormi, hanno pure detto che il crocifisso deriva da una legge fascista e lei non gli ha detto niente.”

Chiamo qui a rispondere "la legge fascista" e precisamente la circolare del ministero della Pubblica istruzione n. 68 del 22 novembre il 1922:

In questi ultimi anni, in molte scuole primarie del Regno l’immagine di Cristo ed il ritratto del Re sono stati tolti. Ciò costituisce una violazione manifesta e non tollerabile e soprattutto un danno alla religione dominante dello Stato così come all’unità della nazione. Intimiamo allora a tutte le amministrazioni comunali del regno l’ordine di ristabilire nelle scuole che ne sono sprovviste i due simboli incoronati della fede e del sentimento patriottico.

E ancora (articolo 118 del Regio Decreto n. 965 del 30 aprile 1924: regolamento interno degli istituti d’istruzione secondari del Regno):

Ogni scuola deve avere la bandiera nazionale, ogni aula il crocifisso e il ritratto del Re.

3. A chiusura del suo prezioso intervento (senza contare che era stato invitato per parlare della Giornata delle Forza Armate), il ministro vien fuori da par suo, di gran classe, tessendo in poche righe una sorta di elogio della coerenza:

“E comunque non lo leveremo, il crocifisso. Possono morire. Il crocifisso resterà in tutte le aule della scuola, in tutte le aule pubbliche. Possano morire. Possano morire, loro e quei finti organismi internazionali che non contano nulla.”

Qui non ho testi a mio favore. Sono morti tutti dal ridere. O almeno così mi hanno detto.

martedì 3 novembre 2009

Dopo 17 anni

Così, al volo:
Santoro mi è antipatico e spesso anche la redazione che lo circonda.

Però ieri ho visto la puntata "Verità nascoste" sul caso Ciancimino e i rapporti tra mafia e politica (andata in onda l'8 ottobre scorso) e ancora una volta mi sono reso conto che trasmissioni del genere, almeno qui da noi, in Italia, non esistono.

Nuove rivelazioni, interviste fatte come si deve, il pubblico in sala che incredibilmente non applaude né fischia, nomi e fatti documentati.
Insomma, quello che dovrebbe essere giornalismo (ok, non siamo alla perfezione ma mi accontento).

E allora che ne invochino pure la chiusura, io resterò in attesa che un enorme culo (quello che sicuramente sostituirebbe Annozero) li seppellirà.
Che a pensarci bene, non è manco un brutto affare.

lunedì 2 novembre 2009

Che ci faccio io qui?

Lo so, questo pensiero d'essenza sarà letto tra qualche ora su ogni quotidiano.
Però è bello. Come l'adattamento non coordinato al momento storico e con le esigenze di molti - forse troppi - e il destino che ti vuole all'esterno solo per il piacere di chi si troverà dentro in futuro. La mente fuori giri e la cinghia mai a tempo con gli alberi senza che la potenza ne risenta.

Chissà, forse siamo noi a crescere i geni. Con il nostro continuo tentativo di legarli:

"Sono una piccola ape furibonda. Mi piace cambiare colore. Mi piace cambiare di misura".

Alda Merini (1931 - 2009)