Cominciò così
E chi, chi sarà mai
il buttafuori del sole
chi lo spinge ogni giorno
sulla scena alle prime ore.
(da Cantico dei drogati, in Tutti morimmo a stento – Fabrizio De Andrè, 1968)
Anni fa, capitava che le agenzie di eventi e simili venissero a chiedere addetti alla sicurezza nella palestra di Riccardo.
Fu quello il mio primo lavoro, ben prima che imparassi a portare piatti e aprire bottiglie e un altro paio di cosucce (un giorno, nel risvolto in terza di copertina, quello della mia biografia, ci sarà una frase del tipo "ha svolto diversi mestieri prima di..."). Quarantacinque mila lire a servizio, niente di che, ma di birre ce ne uscivano parecchie.
Quell’estate, in piazza 1° maggio, dietro alla nave di Cascella (sì, proprio lui, lo stesso del mausoleo funebre in casa di mister B.), erano in programma i campionati italiani di beach volley, e a parte qualche turno di giorno con di fianco un paio di transenne e la compagnia saltuaria di qualche hostess, passai il periodo in notturna, con la collaborazione di Gianluca nei fine settimana.
Non è che si facesse molto a dir la verità, alla fine c’era ben poco da sorvegliare, qualche decina di palloni più l’attrezzatura audiovisiva, tutto peraltro “blindato” in un paio di gazebo, che va beh, non è che fossero l’emblema dell’inaccessibilità direte voi. Infatti sì, dico io. Ma insomma, non era mio compito decidere come e dove.
Una sera, proprio a cavallo del cambio turno, un manipolo di ragazzotti riuscì a fregarci da sotto il naso le bandiere issate sulle tribune che davano le spalle al mare. Capimmo subito e il mattino seguente, non prima di un'abbondante colazione da Camplone, io e Stefano (il mio equivalente diurno) recuperammo il malloppo senza troppa difficoltà, anche perché quei furbastri avevano avuto la bella idea di lasciare la refurtiva sotto il proprio ombrellone, lì accanto, da Aurora, il primo stabilimento continuando verso nord.
Insomma, da qui a rimanere svegli e vigili tutta la notte ne passava, allora ad una certa ora, quando gli infradito abbandonavano lo struscio serale rivierasco e le partite di risiko – organizzate, con notevoli dosi di birra, sul palco che la mattina seguente sarebbe stato dello speaker – decretavano la vittoria di una qualsiasi armata, ci si addormentava sui lettini griffati Lido, prima che il raggio meno timido decidesse di bussare sulle palpebre.
E vedere quel disco rosso arancio come rame forgiato a caldo stiracchiarsi e sbadigliare e socchiudere gli occhi prima di scaldare i brividi, era ed è sempre una cosa nuova, di cui ci si fida senza il timore di chi almeno una volta nella vita ha lasciato l’amore dentro abbracci sbagliati.
Tutto questo per dire (come tempo fa) che in questi ultimi giorni, per dovere o piacere, ho più volte condiviso con l’orizzonte delle acque quei minuti sospesi. E che ve lo dico a fare, non si spiega proprio. Forse, al solito, è tutto merito dal mare. E che se sei nato a est non puoi che pensarla così. O forse no.
Ma queste, sono solo chiacchiere. In quei momenti si sta zitti.
1 commento:
"Il raggio meno timido che bussa sulle palpebre"... Come disse il buon Guccini di Luci a San Siro (che, ricordiamolo, allude alle luci cittadine del quartiere non dello stadio omonimo): 'Vorrei averla scritta io.'
Ma sono anche più contento che l'abbia scritta tu, caro Cirello. Il mondo, così livellato nella sua mediocrità, non ha forse bisogno d'una polifonia di voci poetiche? E mica possa fare tutto io! (Già le pippette m'impegnano un sacco) Comunque se sei nelle natie terre forti e gentili, e tieni presente che non uso più il cellulare, mi farebbe piacere vederti, una di queste. Anche per ridarti la maglia. Ma è un anche, beninteso...
Sor ancora capace di dire qualche no
http://www.youtube.com/watch?v=K-Lft_K4Vko
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