In un primo momento avrei voluto scrivere di
Shutter Island (finalmente visto ieri sera) e del fatto che Scorsese non mi emoziona più. Che è dal meraviglioso equilibrio di
Casino (probabilmente il miglior film degli anni 90) che il buon vecchio Marcantonio Luciano non riesce a scaricare ventricoli e fegato sulla pellicola. Troppo perfetto, anche se non ancora freddo e calcolatore come Spielberg. Però è sempre magnifico vederlo muoversi tra la sceneggiatura e gli attori, andrei in sala nudo (se solo la smettessero con sta cazzo di aria condizionata ghiacciata) per vedere sempre questa qualità. Ma insomma, avrei voluto parlare di questo, dicevo. E invece no. Perché Scorsese - viva Scorsese! - ti fa venire voglia di andare al cinema.
E in questi giorni c’è Eastwood, ad esempio.
Allora controllo, apro giornale e siti per cercare l’orario, appurarmi - al solito - che sia proiettato in lingua originale e una volta sicuro, per evitare le fregature già sul groppone, di quelle che
si declina ogni responsabilità per variazioni di programmazione e orari non comunicati,
concludere con una telefonata in via del Corso, giusto per fugare ogni dubbio.
Perché io e il
Metropolitan (al limite insieme a qualche coppia di lingua inglese nelle ultime file) ci siamo voluti bene in quei pomeriggi solitari, quando ci abbracciavamo su quelle calde, comodissime e attraenti poltrone blu notte (superiori a quelle, color ruggine, della sala Volpi di Venezia, che dormite durante de Oliveira!) che guardavano dall’alto l’unicità di quella barra poggia piedi, fedele amica non solo delle mosche da bar.
E’ vero che dopo il caffè ci ritrovavamo sempre in pochi, però a volte, almeno di sera, immaginavo, povero illuso, che la cricca di
emo appollaiati sugli scalini di Santa Maria dei Miracoli o le moltitudini che affollano Messaggeri Musicali per un autografo di Marco Carta, potessero riempirlo di tanto in tanto. E invece, evidentemente, non accadeva.
Ok, ne ero a conoscenza. Avevo firmato quello scudo di carta che sono le petizioni on line ma non pensavo potesse accadere così in fretta. La morte, dico.
Poi
è successo, lo scorso 29 dicembre.
Il Metropolitan non c'è più. O meglio, non respira. Allora scorrono (eccome se scorrono) quei pomeriggi in cui entravi con la luce e ne uscivi col buio, incontrando, con un po’ di fortuna, il sassofonista di Piazza del Popolo, magari con in testa il lascito delirante di Lynch. Scott, Eastwood, Coppola (che trip il redux di Apocalypse) dove vi andrò a scovare adesso?
Amaro. Sento parecchio amaro in tutto questo. Violento come lo zucchero.
Così, a pensarci, a poter scegliere il sipario della chiusura, verso la quale poco si può con gli scudi di carta di cui sopra, avrei preferito una cosa tipo
Blade Runner,
Otto e mezzo. O
L’Appartamento.
E invece il mio addio è stato
The Social Network. Bello sì. Ma va beh.