Fondamentalmente, per vincere al giuoco del pallone, ci vorrebbe uno che faccia gol. Tipo un'attaccante, per esempio.
Proprio questo si provava umilmente a dire a Gianluigi Buffon
all'indomani della sua uscita su biscotti, morti e feriti: non si dice,
anche se malauguratamente si pensa, che nel calcio è normale fare due
conti quando un risultato serve a entrambe le squadre. Perché ora è
atrocemente facile fargli notare che non ci sarebbe una sola buona
ragione, se tutti ragionassero così, per essere sicuri che quei "due
conti" di cui parlava non li facciano Spagna e Croazia, magari pure con
qualche sghignazzata. E appellarsi alla fama dei giocatori spagnoli "che
non possono permettersi di farsi ridere dietro dal mondo con un 2-2" è
purtroppo puerile, una nuova maldestra teoria: solo i calciatori tristi
che non hanno vinto mai si mettono dunque d'accordo per i pareggini,
quando serve? Solo loro pensano "meglio due feriti che un morto?" Solo i
poveri hanno l'inconfessabile diritto a darsi una mano? Il rispetto
della lealtà sportiva che impone di dare sempre il massimo è
un'esclusiva dei campioni? Si misura con l'ingaggio?
Esiste
invece, vogliamo ostinatamente crederlo, un'altra speranza a cui
affidarsi per evitare il bis delle coliche di bile del 2004, quando
svedesi e danesi fecero i due conti che produssero l'eliminazione
azzurra e la loro qualificazione a braccetto. E' la semplice, retorica,
invecchiata e maltrattata legge dello sport: quella che dice che chi lo
pratica lo fa per confrontarsi e possibilmente per vincere, perché
vincere dà fama, dà soldi, dà prestigio, dà un senso alle fatiche
degli allenamenti. E vincere dà soprattutto gusto. Gli spagnoli, per
esempio, che sono innamorati del loro calcio, forse sono più lontani
dalla logica di morti e feriti di quanto pensiamo, anche se ora non
faremo altro che ricordare loro cose come il rispetto dei valori,
l'etica, la lealtà: tutte materie in cui l'Italia si è d'altra parte
guadagnata una credibilità che è sotto gli occhi di tutti, con i derby
truccati, i rigori concordati tra portiere e centravanti, le mazzette
negli autogrill e negli spogliatoi, le calciopoli e le scommettopoli.
E
allora sarebbe forse meglio fare altre cose, più sagge: stare zitti.
Allenarsi. Pensare all'Irlanda e cercare di vincere almeno una benedetta
partita, una che sia una. E sperare poi che la lezione di sportività,
invece di darla noi con le parole, arrivi dagli altri con i fatti.
L'ennesima lezione che purtroppo, però, non riusciamo mai a imparare.
Aligi Pontani