Non che c'entrino molto, o forse sì, perché sempre di vita si tratta. Insomma, mentre ascoltavo questa,
Yesterday seems like a life ago
Cause the one I love
Today I hardly know
You I held so close in my heart oh dear
Grow further from me
With every fallen tear
Anticipando il probabile duello finale dei prossimi
mesi, Grillo ha attaccato Renzi dandogli della «faccia come il c.» (in
comproprietà con Bersani) e del «politico di professione». Per lui e per
una parte dei suoi elettori le due definizioni sono sinonimi. Tralascio
ogni giudizio sull’uso del turpiloquio, uno dei tanti lasciti di questo
ventennio che ancora prima delle tasche ci ha immiserito i cuori,
portandoci a considerare normale e persino simpatico che un leader
politico si esprima come un energumeno. Ma vorrei sommessamente
segnalare che essere professionisti della politica non è una vergogna né
una colpa. E’ colpevole, e vergognoso, essere dei professionisti della
politica ladri e incapaci.
In questi ultimi decenni ne abbiamo avuti un’infinità e la stampa
porta il merito ma anche la responsabilità di averli resi popolari,
preferendo esibire i fenomeni acchiappa audience piuttosto che il lavoro
serio ma noioso di tanti membri delle commissioni parlamentari.
Dando agli elettori la percezione che tutti i politici
fossero uguali a Fiorito o a Scilipoti e che chiunque potesse fare
meglio di loro. Non è così. Il «chiunquismo» è una malattia anche
peggiore del qualunquismo e porta le società all’autodistruzione. Questa
idea che tutti possono fare politica, scrivere articoli di giornale,
gestire un’azienda o allenare una squadra di calcio è una battuta da bar
che purtroppo è uscita dai bar per invaderci la vita e devastarcela.
A furia di vedere buffoni e mediocri nelle foto di gruppo della
classe dirigente, ma soprattutto di vedere ovunque umiliata la
meritocrazia a vantaggio della raccomandazione, siamo sprofondati in
un’abulia che ci ha indotti ad accettare senza battere ciglio ogni
sopruso e ogni abuso antidemocratico (a cominciare dai partiti padronali
e da una oscura rockstar del capitalismo come presidente del
Consiglio). E ora che ci siamo svegliati, per reazione vorremmo buttare
tutto all’aria, convinti che per fare politica bastino un ideale e una
fedina penale intonsa. Non è vero. Gli ideali e l’onestà sono la base
per distinguere i buoni leader dai cialtroni che ci hanno ridotto in
questo stato. Ma la politica è anche un mestiere con regole precise:
l’attitudine all’ascolto, la conoscenza della materia trattata e delle
procedure legislative, la capacità di giungere a una sintesi che in
democrazia è quasi sempre un compromesso tra diversi egoismi, come ben
sa chiunque abbia frequentato un’assemblea di condominio. Era così ai
tempi di Pericle e delle lavagnette di creta. Lo rimarrà nell’era di
Grillo e del web, con buona pace di chi pensa che la democrazia diretta
possa abolire il filtro della rappresentanza. I rimpianti Cavour e De
Gasperi non erano dilettanti o improvvisatori. Erano politici di
professione, come lo è oggi un Obama.
Il fatto che queste ovvietà suonino eretiche testimonia l’abisso di
confusione in cui ci dibattiamo. La politica, se fatta bene, è una cosa
dannatamente difficile e seria, specie in giorni come quelli che ci
attendono, quando si tratterà di rimettere in piedi un Paese
economicamente e moralmente allo stremo. Da cittadino di una democrazia
malata sarei più sereno se a occuparsi dell’infermo fossero persone
selezionate da un meccanismo che garantisse scelte autorevoli. E qui già
vedo un ghigno profilarsi sul volto di Grillo: i partiti sono morti,
incapaci di formare una classe dirigente. Ma allora bisogna immaginarne
di nuovi, diversamente strutturati. Di certo il futuro non può essere
affidato a miliardari e magistrati fai-da-te. Può anche darsi che la
soluzione siano movimenti di persone perbene agglomerati dal web come i
Cinque Stelle, ma dovranno risolvere l’intima contraddizione fra la
trasparenza della base e l’oscurità della catena di comando. A cosa
serve accendere una webcam in Parlamento se poi l’ufficio della
Casaleggio & Associati, in cui si scrivono le regole e si decide la
strategia, rimane ostinatamente al buio?
Massimo Gramellini (La Stampa, 2 marzo 2013)