Dimenticare Marco Civoli
In un pomeriggio finalmente libero, stavo gustandomi quella che sarebbe stata la prima eliminazione di lusso da Wimbledon, quella dell’imitatore testa di serie numero 3 Djokovic ad opera di Marat Safin, uno che, se solo avesse pensato meno al triangolo dell’amore, adesso probabilmente godrebbe di qualche milione di euro in più in banca e di una classifica più rispettosa del suo enorme talento.
La pioggia non ancora decide di infastidire il Centre court e compagnia allora si gioca, rigorosamente in bianco, e anche se il serve&volley è ormai puro ricordo (eccezion fatta per il buon Eaton, ragazzone di casa di ben poche speranze), è sempre una bellezza vedere quell’erba non ancora ingiallita dagli spostamenti.
Come ascoltare il binomio indissolubile Tommasi/Clerici.
Tra le chicche assolutistiche del primo (“non si capirà mai che potenza e tocco possono appartenere ad uno stesso polso”) e invidiabili prose del secondo, di cui mi accingo a riportarvi uno stralcio, magnifico peraltro, da La Repubblica del 25 giugno, è sempre un piacere starsene stravaccati sul divano:
“…Si chiamava, la tennista, Naomi, giusto come la più celebre di tutte le Naomi. Ma di cognome, invece che Campbell, faceva Cavaday. E, quanto Naomi era affascinante, la Cavaday era inguardabile.
La mascella rossastra era avvitata direttamente alle spalle. La curva del ventre si appesantiva prima di scivolare nella sottanona e fuoriuscirne tra rivoli di gelatinosa cellulite. Di fronte a lei Venus pareva l’imitazione della sua antenata bianca del Botticelli, uscita da una regale conchiglia.
Ad aggravare il confronto tra le due, Venus, ancora più top-model di sempre, mostrava velate da elegantissime bretelline due favolose zinnette fin qui riservate ad un ristretto gruppo di ammiratori.”