venerdì 27 aprile 2007

Grazie Mstislav

Fu grazie a lui che scoprii la morbidezza emozionale del violoncello. Se poi fai muovere quelle dita davanti al Preludio della Suite per violoncello di Bach n°1 in sol maggiore, allora non ce n'è per nessuno . L'attacco ti prende la gola, annodandola, poi il tremore sale e scende come una mousse impazzita per la ragionevolezza, fino ad arrivare al minuto e 40 e a quella meravigliosa apertura nei 20 secondi successivi...mamma mia. Si viaggia parecchio.

"La mia vita è cambiata del tutto già il giorno dopo la caduta del muro di Berlino",

e se la cambiò a lui, che quel novembre del 1989 ci suonò sotto, immaginate cosa successe nel cuore di chi ebbe la fortuna di ascoltarlo.

Mstislav Rostropovich è morto a Mosca. Aveva 80 anni. Ma come tutti i geni, in realtà, è solo svenuto.

mercoledì 25 aprile 2007

Il letto

Dalle 09:12 del 23 aprile alle 01:43 del 25 aprile:
Credo sia il caso di andare a dormire.

martedì 24 aprile 2007

Nottata

Era un po' che - per dirla alla Montelli - non mi concedevo un "dritto".
Alla mia destra la pila di cd che hanno scandito le ore di riposo del sole (almeno in questo emisfero) parallelamente ai miei occhi spalancati. Certo, si poteva far di meglio a livello di quantità, ma a volte il rumore della notte è così piacevole da non richiedere alcunchè, poi ci si accorge che l'album di turno si è rimboccato le coperte e allora via, è il momento di decidere il successivo. Da mezzanotte fino ad adesso, nell'ordine, ecco le mie scelte:

- The Mama's and the Papa's, If you can believe your eyes and ears
- Fabrizio De Andrè, Storia di un impiegato
- Charles Trenet, Que reste-t-il de nos amours?
- Mark Lanegan, Whiskey for the Holy Ghost
- Vasco Rossi, Liberi Liberi
- The Greateful Dead, Live/Dead
- Massimo Urbani e Red Rodney, Live at Alexanderplatz
- Bob Dylan, Hard Rain
- Talking Heads, Stop Making Sense

Mi raccomando stasera, ore 18:30. Premiate la mia notte insonne.

lunedì 23 aprile 2007

Martedi 24 aprile ore 18:30

FotoGrafia - Festival Internazionale di Roma.

Il titolare della Festicciola invita tutti :




INFO

sabato 21 aprile 2007

Codice del duello irlandese

Nel 1977, durante l'Assise di Clonmell Summer, i gentiluomini delegati di Tipperary, Goldway, Mayo, Sligo e Roscommon fissarono le regole per la pratica del duello e stabilirono i punti d'onore. Era raccomandato che i "gentiluomini di tutto il regno" ne tenessero una copia nell'astuccio della pistola" cosicché l'ignoranza non possa mai essere addotta a giustificazione".
Ecco alcune regole del codice di regolamentazione:

1.
La prima offesa richiede la prima scusa, sebbene la ritorsione possa essere stata più offensiva dell'insulto.

4.
Quando la menzogna diretta è la rima offesa, l'aggressore deve porgere le scuse in termini espliciti oppure scambiare due colpi prima delle scuse o tre colpi seguiti dalla giustificazione; oppure continuare a sparare finchè un colpo grave venga ricevuto da una parte o dall'altra.

10.
Qualsiasi insulto a una signora sotto la protezione di un gentiluomo è da considerarsi un'offesa superiore di un grado che se fosse arrecata personalmente al gentiluomo, e va regolata di conseguenza.

17.
Chi viene sfidato scegle il proprio campo; lo sfidante sceglie la proprio distanza; i secondi stabiliscono l'ora e la modalità del fuoco.

22.
Qualsiasi ferita sufficiente ad agitare i nervi e quindi far tremare la mano, deve concludere la vicenda per quel giorno.

giovedì 19 aprile 2007

La maga Patti (Patti, Patti quando fa magie...)

L'aveva fatto nel '74 con Hey Joe di Hendrix e l'anno successivo con Gloria di Van Morrison e My Generation degli Who. Ora ha pensato bene di farcene un album. Patti Smith torna con un album di solo cover, "Twelve" per l'esattezza.
Non ho voglia di commentare pezzo per pezzo, ci vorrebbero più probabilmente un "Bertoncelli o un prete", sappiate però che la grandezza di Patti è far apparire quelle canzoni una maternità, un impulso primigeneo della sua voce, come se non fossero mai esistite. E' questa la sua magia: le parla, le striscia, le abbraccia, le consuma, le ama con un personalità tale da lasciarti con la fronte imperlata di pensieri e tremori.
Ve la immaginate questa che canta Smells like teen spirit dei Nirvana, White Rabbit dei Jefferson Airplane piuttosto che Helpless di Neil Young?
Sì, proprio come ve la state figurando. E anche di più.

Addirittura di un livello superiore alla proporzione E chi se ne frega : Marco Masini = Nothing else matters : Metallica.

mercoledì 18 aprile 2007

Non lasciamoci contaminare

"La disperazione peggiore di una società è il dubbio che vivere onestamente sia inutile."

(Corrado Alvaro)

martedì 17 aprile 2007

Ermetismo

Si sta come, d'autunno, sugli alberi, le foglie.
(Giuseppe Ungaretti - Soldati, 1918)

Non fosse stato per un paio di sogni turbolenti (ho detto sogni, non incubi) che non avrei dovuto fare, la nottata appena trascorsa era iniziata con il sorriso sulle labbra, complice quel genio dell'essenzialità che di nome fa Francesco Tullio-Altan:

- Moglie, seduta sul divano, faccia annoiata: "Dove vai?"
- Marito, camminando con l'aria di chi non ne può più: "A orinare. Puoi trovarmi al sito: www.cesso.it."


- Un tipo, guardando indietro con circospezione: "Perchè mi segue?"
- L'altro, immediatamente dietro, gli occhi di chi non sa: "Speravo che lei andasse da qualche parte."


Poi, complici i disturbi onirici di cui sopra, il risveglio non è stato dei migliori. Ma chissà, forse è solo colpa della carbonara di mezzanotte e trenta.

lunedì 16 aprile 2007

Chiedo Jerry e mi danno Johnny

Mi trovavo col culo sul divano con la tipica frustrazione che segue alla visione di una qualsiasi puntata di Report. Scorrendo la galassia di semi-inutili canali che Murdoch (“sono io che vengo a prenderti”, Rambo 2 – La vendetta - Ted Kotcheff, 1982) ci offre a modiche cifre, decido di soffermarmi sui 5 minuti finali dell’ultima fatica di Jerry Calà (dopo il colossal Chicken Park (1994) con il leggendario "rap del pollo" a firma Umberto Smaila), il capolavoro che tutti c'aspettavamo: Vita Smeralda.

Assistere ai 5 minuti di chiusura, vuol dire (subito dopo essersi chiesti come da desolante copione chi diavolo abbia avuto l’ardire di produrre il film) trovarsi di fronte alla conclusione della vacanza di una serie di personaggi insulsi nel luogo che dà il titolo alla pellicola, con l’inevitabile risultato di avere a che fare con palate di tristezza infinita, del tipo:

Prima scena.
Lory Del Santo chiacchiera con un’amica in spiaggia sfoderando battute riciclate dai gloriosi tempi di Drive In:
- Amica: “Lo sai, gli uomini sono così, specialmente in estate, vanno e vengono.”
- Lory D.S.: “Beh, con me è il contrario, prima vengono e poi vanno.”

Seconda scena.
Un tipo (subito battezzato dal divano di casa: il Viggo Mortensen dei poveri) passeggia sulla spiaggia con camicia bianca sbottonata sul petto e giacchetta d'ordinanza sulle spalle in direzione di una simpatica adolescente dalle tettine avare (subito battezzata dal divano di casa: la Jessica Alba dei poveri), si evince che la storia tra i due si era interrotta per le infedeltà del Viggo de noartri che, inevitabilmente, visto che siamo alla fine del film, tenta di ricucire il rapporto.
La cosa assurda non è che - ovviamente - ci riesca, ma che lo faccia esordendo così:
- “No, non spaventarti, non sono un fantasma.”

Terza scena.
In un ristorante sulla spiaggia i nostri eroi mangiano disquisendo sulle vocali utilizzate durante i loro amplessi (“aaah”, “uuuuuh”, “oooh sìììì oooh” e via deliziando) prima dell'arrivo del tipico senegalese che gestisce un ristorante in Sardegna, lesto a sciorinare frasi da Bacio Perugina con la tavolata che finalmente capisce il vero senso della vita.

Ultima scena.
Il regista con la vera moglie e il vero figlio sono seduti su di un lettino all’ombra dell’ombrellone (che poi sarebbe come dire alla luce dell’uccellone) mentre la colonna sonora “tormentone” (indovinate come si chiama e chi la canta?) guadagna volume puntando l’orizzonte.

La cosa più terribile di tutte però, l’ho scoperta osservando le prime righe dei titoli di coda, alla voce “Altri Interpreti”:
il figlio di Jerry Calà si chiama Johnny Calà.

domenica 15 aprile 2007

A casa con una marea di turbamenti già visti

La prima apparizione del termine déjà vu, chiamato anche paramnesia, è da attribuire al ricercatore francese Emile Boirac, che nel 1896 coniò quest’espressione. Il fenomeno però era stato studiato alcuni decenni prima dal dottor Arthur Ladbroke Wigan che aveva avanzato l’ipotesi che fosse dovuto all’arrivo sfasato al cervello della stessa percezione con microsecondi di differenza. La mancata sincronizzazione degli emisferi cerebrali farebbe percepire inconsciamente la scena prima all’altro, così che quando arriva al secondo emisfero sembra già di aver vissuto la cosa. Da allora il fenomeno è diventato una sorta di ossessione, qualcosa di soprannaturale che ha sempre procurato un certo turbamento. Tanto che si pensava che attraverso il déjà vu si potesse risalire ad aspetti più complessi ed oscuri della mente.

venerdì 13 aprile 2007

Hijos

Se capitate nella città eterna fateci un salto.
C’è un figlio mai venuto fuori dai Centri Clandestini di Detenzione in quei terribili anni argentini.
E c’è questa madre dal viso lucente che ti fa pensare, come tutte le madri: perché esiste un termine per indicare la mancanza di un genitore o di un compagno ma non c’è traccia di una parola che dia un nome alla perdita di un figlio, quasi a voler rafforzare ancor di più il legame rosso sangue, la dedizione, l’amore incondizionato di chi ti ha dato la vita senza chiedere nulla in cambio.
Si abusa troppo spesso della frase “non ho parole”, in tutte le sue varianti, quando invece le parole ci sono eccome. Qui – almeno in questa penisola - la parola non c’è, ed è forse proprio l’impossibilità di chiamare le cose col loro nome a far sì che le cose stesse rimangano vive, bollenti.

giovedì 12 aprile 2007

Love is an angel disguised as lust

La prima serata senza lana addosso. Il colpo di tacco di Seedorf. L’odore della primavera. Un locale in cui a poco a poco ci si sente a casa. Un reading più che buono dentro casa con due chitarre in vecchia intimità. L’Amaro del Capo. La lavagnetta per mettersi in fila al biliardino e la patina di gesso sulle dita. Il primo sudore dai pori foraggiato dalla Menabrea. Un caldo sassofono – credo Coltrane – a sputare aria dalle casse. Poi d’improvviso arriva Patti urlando Because the night. Ed è stato in quell’istante che la superba prosa è diventata soffice e rude poesia.

mercoledì 11 aprile 2007

modoemodopuntocom

Chissà come mai, ma in tutte le prime pagine delle moleskine affiancate in piedi sotto al vinile di Pat Garrett e Billy the Kid (Bob Dylan, 1973) la grafia è più chiara - come facevo da bambino con i quadrettoni dei quaderni di matematica - come se il timore di violentare quel candore con la mia turbolenta grafia inibisca il movimento tipicamente sussultorio del polso destro. Poi il rapporto diventa più intimo ed è lei a diventare violenta, quasi costringendomi a riempire le pagine anche contro voglia, con ghirigori alla Pollock e parole che si affiancano senza senso:
zinco, incavo, nonsense, poltrona, timbro, balestra, cisterna, visnù, alabarda, istrione, manicheo, filibustiere, emisfero. Cosa diavolo mi stava passando per la testa quel giorno? E dove mi trovavo?
E' finita anche questa, e qualcun altro per me ha deciso che la prossima sarà - mio esordio assoluto - senza righe, solo fogli bianchi, nessuna costrizione di sorta (due scuole a confronto, il plain notebook e il ruled notebook).
Il mio disordine visuale starà facendo salti di gioia, allora penso alla scritta nera su sfondo azzurro appesa con tanto di cornice al muro dell'ufficio di papà: "l'ordine è il piacere della ragione ma il disordine è la delizia dell'immaginazione". La classica frase da paraculo che in quanto tale non fa una piega né tantomeno una lira di danno.
Deciderò io la prima parola della pagina di testa o sarà un appunto volante, forzato dalla fretta?
Poi dai fogli immacolati ne spunta uno nero, plastificato, è una cartolina da conservare:

"Non conosco nulla al mondo che abbia tanto potere quanto la parola. A volte ne scrivo una, e la guardo, fino a quando non comincia a splendere."

Emily Dickinson

martedì 10 aprile 2007

Country road take me home

E' di una violenza così dolce la pace della campagna che il ritorno nella frenesia cittadina ti scivola addosso lungo i bordi del sorriso beato. Chissà quanto durerà.

giovedì 5 aprile 2007

Assassino di bussole

Mi guardi, mi guardi da vicino, ogni volta più vicino e allora giochiamo al ciclope, ci guardiamo ogni volta più da vicino e gli occhi ingrandiscono, si avvicinano fra loro, si sovrappongono e i ciclopi si guardano, respirando confusi, le bocche si incontrano e lottano tepidamente, mordendosi con le labbra, appoggiando appena la lingua sui denti, giocando nei loro recinti dove un’aria pesante va e viene con un profumo vecchio e un silenzio. Allora le mie mani cercano di affondare nei tuoi capelli, carezzare lentamente la profondità dei tuoi capelli mentre ci baciamo come se avessimo la bocca piena di fiori o di pesci, di movimenti vivi, di fragranza oscura. E se ci mordiamo il dolore è dolce, se soffochiamo in un breve e terribile assorbire simultaneo del respiro, questa istantanea morte è bella. E c’è una sola saliva e un solo sapore di frutta matura, e io ti sento tremare stretta a me come una luna nell’acqua.

(Il gioco del mondo - Julio Cortazar, 1966)

martedì 3 aprile 2007

Segnalibro

Se ne sono alternati molti tra le pagine calde delle mie letture di turno: biglietti del treno e di concerti, cartine, petali di fiori appassiti, semplici pezzi di carta o matite, poche volte con il risvolto della copertina, molte con flyer trovati dove capitava.

Sono due quelli a cui sono più affezionato:
il primo non ha bisogno di presentazioni, è della City Lights Bookstore - A Literary Meetingplace since 1953 di San Francisco (261 Columbus Avenue), certo, avrebbe più valore se a consegnarmelo fosse stato Ferlinghetti in persona anzichè quello sfiammato di commesso, ma l'odore di quei corridoi angusti delimitati da vecchi scaffali in legno colmi di libri accatastati si sente. Eccome;
il secondo lo trovai in un negozio di dischi qui a Roma, era la riproduzione della classica icona del Sacro Cuore Immacolato di Gesù, solo che al posto della faccia del figlio di Giuseppe e Maria c'era quella di Elvis Presley accompagnata dalla seguente scritta: "In rock'n'roll we trust".

In questi primi brividi di primavera, a far compagnia alle righe, invece, è il biglietto da visita della bottega "Il Tamburello", di Biagio Panico, artigiano di Torre Paduli. Se volete fate un capatina in via San Rocco. Lui sarà lì, almeno spero.

lunedì 2 aprile 2007

Giochiamo a ficozze?

(ANSA) - MODENA, 30 MAR - E' morto nella tarda mattinata a Modena l'editore Franco Cosimo Panini. Aveva 76 anni. Assieme ai fratelli Giuseppe, Umberto e Benito, negli anni '60 fu protagonista della nascita della celebre impresa specializzata in figurine.

In fin dei conti non mi è mai importato granchè di completare l’album delle figurine. Non ero interessato a cercare come un cane da tartufo le figurine mancanti (ad esempio Pedro Antonio Troglio dell’Ascoli piuttosto che Massimo Ciocci del Cesena), l’unica cosa per la quale sfoderavo i mastini era la foto di squadra: se possedevo un mezzo Empoli o una mezza Roma mi dannavo per trovare le loro anime gemelle, provavo troppo fastidio nel vedere quella cosa attaccata lì in alto così tranciata di netto.
A parte questo dettaglio, come dicevo, non me ne poteva fregare di meno di eliminare tutti gli spazi bianchi dalle pagine, per me l’album poteva anche non esistere. A me interessavano le ficozze. Era fichissimo giocare a ficozze, un po’ come può essere fregnissimo parlare di fregna.
Alla ricreazione era un superclassico, ognuno col suo "paccozzo" elasticato d’ordinanza, con le schiene poggiate sui muri del corridoio oppure davanti al bagno o in qualsiasi altro posto in cui due persone si possano guardare in faccia a distanza ravvicinata:

- “Cesena, c”
- “Inter, tuo”


Il gioco era il classico rubamazzetto, solo che al posto dell’asso di mazze c’erano le facce dei nostri eroi accanto a quelle di perfetti sconosciuti.
Si poteva scegliere se giocare per iniziale della squadra (se giravi la Juventus, con la sua cosiddetta – dalle mie parti - i cionga, la “i” sbilenca, non ce n’era per nessuno) o del giocatore (sei io giro una “c” di Carannante e l’altro una “c” di Cuoghi, il mazzo formatosi nel frattempo va nelle mani di quel bastardo del mio avversario) fino ad arrivare alla mia regola preferita: nome e cognome.
Lì si raggiungevano momenti di grande calcio, ad esempio la debacle di Antonio Benarrivo al cospetto di Abel Balbo o di Adriano Piraccini contro Andrea Pazzagli. Grossi numeri.

Poi qualche anno fa, entrando in libreria feci l'acquisto che ti porta in serie A: Il Superalbum Panini – Le figurine dei calciatori 1960 – 2000.
La certezza di aver aggiunto alle mie letture un'opera d'importanza capitale arrivò qualche ora dopo, quando gli occhi si fermarono a pagina 420. Anno 1987-88, le stelle del campionato, riga relativa alle mezzeali sinistre. Tre fenomeni l’uno di fianco all’altro, spalla a spalla, da sinistra:
in divisa viola e sponsor Crodino: il sorriso meccanico di Roberto Baggio;
a seguire, in maglia azzurra e Buitoni sul petto: gli occhi semichiusi di Diego Armando Maradona;
poi veniva il turno della Cassa Risparmio Pescara e L.A. (non Los Angeles ma Loreto Aprutino, intendiamoci) a sovrapporsi alle strisce biancazzurre: il folto baffo e il collo taurino di Blaz “Baka” Sliskovic.