Caesars Palace, Las Vegas, 10 marzo 1986.
Con in palio il titolo unificato dei supermedi IBF-WBC-WBA, si sfidano tra le sedici corde, il campione in carica Marvin “Marvelous” Hagler – 61 vittorie (51 per KO), 2 sconfitte e 2 pareggi - e lo sfidante ufficiale, l’ugandese John Mugabi, imbattuto e con un soprannome, The Beast, che rende giustizia al suo palmares: 26 incontri, 26 vittorie. 26 KO.
“Uno dei più grandi match al quale mi sia mai stato dato modo di assistere”,
avrà sicuramente commentato il buon Tommasi di fronte a quest'incontro straordinario.
Hagler è quello di sempre, agile, potente, veloce, a suo agio quale che sia la guardia, con i piedi sempre in una posizione tale da garantirgli l’equilibrio ideale;
il più giovane Mugabi non sembra avere timori di riverenza, prova a tenere il centro del quadrato piazzando con puntualità le bordate terrificanti con le quali aveva abbattuto chiunque gli sbarrasse la via, come il montante destro - il suo colpo, il suo marchio di fabbrica - a 19’’ dalla fine della quarta, che passa in mezzo ai gomiti dell'americano e lo colpisce in pieno mento: KO per chiunque, non per Hagler.
Il pugile di Newark sente la testa alzarsi e gli occhi puntare i riflettori, ma poi è di nuovo lì, in un istante, con le spalle leggere, i piedi veloci e le gambe morbidissime. Pronto a martellare.
Dopo un minuto e 4 secondi dall’inizio della sesta ripresa, è un gancio sinistro in semi spostamento (superbo) di Hagler ad inasprire le ostilità e consegnare l’incontro alla leggenda: due minuti di battaglia faccia a faccia, una quantità enorme di colpi arrivati a bersaglio, due ganci destri consecutivi di Hagler nello spazio di mezzo secondo, con Mugabi a ribattere colpo su colpo, entrando col destro nella guardia mancina del campione. I due si sorreggono a vicenda senza perdere mai un briciolo di lucidità in attesa che Mills Lane li separi ben oltre il suono della campana, con l’americano ancora a tirare sinistro e destro, destro e sinistro con una fluidità imbarazzante, come se stesse facendo lo specchio in palestra. Fantastico.
E’ qui che Mugabi perde il match, incapace di gestire la superiorità mentale del campione, sempre in avanti, sempre in attacco, con la guardia alta e la testa mai ferma. “Il match lo gestisco io”, sembrava dirgli Hagler.
Dalla settima Mugabi pare un po’ appesantito mentre Hagler sciorina spostamenti e rientri da manuale della boxe, roba da far sussultare Jack Broughton nella tomba.
Prima della nona, l’angolo di Mugabi capisce che la Bestia non riesce più a reggere quel ritmo:
“You’ve got the fight won!”, gli dicono, nella speranza di farlo ragionare. Ma la bestia non ne vuol sapere, vuole vincere per KO.
La ripresa fila liscia, senza particolari sussulti ma con la fine sempre incombente. Hagler continua a sembrare il più fresco.
Alla undicesima l’epilogo. Ancora un gancio destro ad aprire la strada, la bestia ha le unghie ormai consumate e le braccia penzoloni. Ancora 3, 4, 5 colpi. Le corde reggono l’urto.
E’ KO (97-94, 96-95, 97-94, i cartellini dei giudici fino a quel momento, tutti a favore di Hagler).
Sarà idealmente l’ultimo incontro per entrambi:
Mugabi combattè ancora per molti anni (si ritirò definitivamente nel 1999), alternando vittorie mediocri e sconfitte per KO nei match importanti, anni di inattività e pietosi ritorni sul ring. Ma per tutti, La Bestia morì su quel quadrato, il dieci marzo dell'ottantasei, all'undicesimo round;
Hagler perse il titolo l'anno dopo, nel match contro Sugar Ray Leonard (fino ad allora il suo score contava di sole due sconfitte agli esordi, per mano di Bobby Watts e Willie Monroe), ritirandosi e intascando probabilmente molto di più della borsa stabilita per quella serata.
D’accordo, come si dice nell’ambiente “Un match truccato non è mai un brutto match”, ma quello contro Sugar Ray non era Hagler, era qualsiasi altra cosa. Non certo Il Meraviglioso.
Il migliore di sempre, almeno per me.