martedì 24 luglio 2007

Vinceremo(?)

In un altro paese, (ma non si poteva scegliere un altro tono per la voce-off?) documentario di Marco Turco ispirato dal libro di Alexander Stille Cadaveri eccellenti, è andato finalmente in onda ieri sera alle 21, su RaiTre naturalmente. 92 minuti per spiegare e ripercorrere la storia della mafia dalla fine degli anni 70 ai giorni nostri.
Se non avete avuto la possibilità di vederlo, per favore, rimediate.
Filmati inediti persino al titolare della Festicciola, ormai avvezzo da anni a produzioni, indagini e ricostruzioni di questo genere. E poi lei, l’immensa Letizia Battaglia, il Virgilio di Stille per le strade di Palermo:

- “Anche in via D’Amelio arrivai come al solito di corsa con la mia vespa, c’erano brandelli di corpi ovunque, braccia da una parte e gambe dall’altra, e io…io non fotografai.”

E anche alla millesima visione, fa sempre un effetto che non riesco a descrivere, un magone che non perde energia, vedere Antonino Caponnetto (fondatore del pool antimafia di Palermo dopo l’omicidio di Rocco Chinnici) in quella via, mentre sale in macchina subito dopo la visione della strage:

- “E’ tutto finito.”

Le mani rugose stringono l’avambraccio del giornalista proprio sotto al microfono, cercando tremolanti un appiglio.

- ”Perché è tutto finito giudice Caponnetto?"

Il volto timido e austero, forse per la prima volta rassegnato, entra in macchina lentamente, in bilico tra la voglia di accasciarsi e quella di andar via, ma le mani non si staccano da quel microfono continuando a tremare, percorse da una scossa quasi mortale.

- ”E' tutto finito.”

Anche le labbra sono scosse, gli occhi vuoti dietro le lenti, fissi verso il giornalista fuori campo.

- ”Perché è tutto finito giudice Caponnetto?"

E’ come se non ci fosse più fiato, come se il cuore smettesse di pompare per qualche secondo.

- ”Perché…”

Il sorriso di Falcone, quasi troppo cinematografico per sembrare vero. Troppo distante dai volti che sono abituato a vedere, la dolcezza di chi convive con la paura, i denti in mostra ad ogni sospiro, ad ogni finire di frase.
E la nuova classe dirigente a braccetto con la vecchia, per dio, Andreotti è lì dalla Costituente e ancora decide le sorti del governo e ci vorrebbe un post a parte per descrivere le malefatte di ques’uomo intervistato subito dopo l'omicidio del suo compare Salvo Lima: "Un uomo leale, di grandi qualità...", maledetto ghigno dalle grandi orecchie.

(il corsivo che segue potete leggerlo o non leggerlo, scusate ma non avevo voglia di lasciar passare impunemente il nome di Giulio, altrimenti saltate il corsivo e proseguite)

La sentenza d'appello di Palermo del 2 maggio 2003 a carico di Giulio Andreotti dovrà entrare nella storia dei media e del giornalismo. Assolto, hanno scritto tutti giornali, hanno detto tutti i telegiornali. Restituito l'onore al leader democristiano e alla Dc, hanno commentato festosi Pierferdinando Casini e tanti altri ex democristiani.

Giulio Andreotti aveva nel processo palermitano due capi d'imputazione. Il «capo a»: associazione a delinquere per aver avuto rapporti, incontri e contatti con i boss di Cosa nostra pre-corleonesi, con la mafia di Stefano Bontate e Tano Badalamenti. Il «capo b»: associazione a delinquere di stampo mafioso per aver avuto rapporti, incontri e contatti con la mafia «vincente» di Totò Riina, dopo che i corleonesi avevano fatto fuori a colpi di kalashnikov Bontate e centinaia di mafiosi delle cosiddette «famiglie perdenti».

Il «capo a» si riferisce a fatti fino al 1980. In quell'anno Bontate viene ucciso e il suo posto viene preso da Riina. L'accusa è di associazione a delinquere "semplice", perché ancora non era stato introdotto il reato di associazione a delinquere di stampo mafioso, che sarà varato nel 1982.

Il presidente Scaduti l'ha detto chiaro e tondo, e tutte le televisioni l'hanno trasmesso senza rendersi conto di quel che facevano:
"IL REATO DI ASSOCIAZIONE PER DELINQUERE COMMESSO FINO ALLA PRIMAVERA DEL 1980 È ESTINTO PER PRESCRIZIONE",
mentre per l'associazione mafiosa successiva al 1982 si conferma la prima sentenza: assoluzione per insufficienza di prove.


Da quell'anno, dunque, scatta la nuova imputazione, con pene maggiori e termini di prescrizione più lunghi: è il «capo b».

La sentenza d'appello conferma l'assoluzione concessa in primo grado per il «capo b», seppur con il riferimento al secondo comma dell'articolo 530 (ossia: per insufficienza di prove). La testimonianza del "pentito" Balduccio Di Maggio, quello che ha raccontato l'incontro con bacio tra Andreotti e Riina, non ha convinto i giudici.

La sentenza d'appello riforma invece l'assoluzione di primo grado per il «capo a», riconoscendo la prescrizione. Ossia: i fatti contestati sono avvenuti , i rapporti, incontri e contatti tra Andreotti e la mafia ci sono stati. «Fino alla primavera del 1980», precisa il dispositivo della sentenza: cioè fino alla data dell'ultimo incontro in Sicilia tra il leader dc e Bontate. Ma poiché non c'era ancora il reato d'associazione mafiosa, il più blando reato d'associazione "semplice" si prescrive in 22 anni e mezzo. Dunque nel dicembre 2002. Se la sentenza fosse arrivata cinque mesi prima, serebbe stata di condanna.

Andreotti ha avuto rapporti, incontri e contatti con i boss di Cosa nostra, almeno fino alla primavera del 1980. È stato salvato solo da quello strano marchingegno giuridico italiano che si chiama prescrizione.


E poi la classe politica dagli anni Novanta in poi, la campagna mediatica (tuttora in corso) contro la magistratura e i suoi uomini, le leggi approvate per limitarne i poteri e quelle per rendere meno facile la vita ad eventuali nuovi collaboratori di giustizia:

Uniti contro il 41 bis: Berlusconi dimentica la Sicilia
(stadio Renzo Barbera di Palermo, 22 dicembre 2002)

E potrei andare avanti ancora un po’, ma sto sudando in questa mattina romana senza vento alcuno.

Allora trovo la chiusura di queste righe, parla Giuseppe Ayala, altro membro del pool antimafia, ricordando l’incontro tra lui e Falcone dopo il fallito attentato alla villa dell’Addaura il 20 giugno 1989:

- “Ci guardammo senza parlare e ci venne in mente la stessa cosa a tutti e due: ma questa, solo mafia è?”

8 commenti:

Anonimo ha detto...

Cirello,
ma non è stato così un mostro Andreotti, anzi...
Quando c'era lui la Stato riusciva a fare accordi con la mafia, a volte vantaggiosi (prendendo come punto fermo che la mafia non la si voleva o poteva sconfiggere), e non era entrata così sfacciatamente nello stato.
Adesso invece....chiedere a Cuffaro, Dell'Utri e tanti altri. La Mafia non deve più trovare accordi con lo stato perchè ora è LO STATO la Mafia (o Camorra o n'drangheta che dir si voglia).
Che si può fare?
Rimpiango, ahimè, Andreotti, e ho detto tutto.
Gallit.

Anonimo ha detto...

No, non è solo mafia. E' cultura, è tradizione. E'malessere, piaga e abbandono. Isolamento, orgoglio ancestrale. Pregiudizi radicati nel fondo dell'animo. E' rassegnazione, continuità nella vita di sempre. E' cultura cattolica, del perdono che non scorda, dell'uomo seppellito dai ricordi. E' televisione e sono persone in preda al desiderio di farsi vedere. E'desiderio di lasciare fare, che a immischiarsi ci si brucia le mani. E' il politico che fa mestiere, scuola, favori e giustizia.

A volte mi rassegno, e temo davvero che sia ineluttabilità.

fredo

Alessandro Vichi ha detto...

@Gallit
Credo che abbiamo letto tutti Gomorra. Dove, atti giudiziari alla mano, si dimostrano le profonde differenze tra mafia e camorra in termini di strategia criminale e di rapporto con lo stato. Per quanto riguarda poi il paragone tra i tempi dei mille governi Andreotti e lo sfacciato gangsterismo dell'attuale classe dirigente, io vedo una (purtroppo) logica continuità col passato; e nel radicamento di quel degrado collettivo cui accennava Fredo, una delle possibili spiegazioni di uno "stile" così rinnovato e distante dalla scuola di mafia bianca democristiana.

@Cirello
Non so tu, ma la sensazione di sentirsela dentro l'impotenza di quel "è tutto finito" cresce di giorno in giorno. Di vergogna in vergogna. Salva (forse) solo il sapere che c'è chi prova a resistere. Anche solo con le parole, con i pensieri. Forse, ormai, tutto quello che ci resta.

"Contro tutto questo voi non dovete far altro che continuare semplicemente a essere voi stessi: il che significa essere continuamente irriconoscibili. Dimenticate subito i grandi successi e continuate imperterriti, ostinati, eternamente contrari, a pretendere, a volere, a identificarvi col diverso. A scandalizzare. A bestemmiare."

Anonimo ha detto...

Caro Sor Vichi,
non mi volevo addentrare nelle differenze (la Camorra la conosco meglio di quanto tu non potrai pensare per un non napoletano, senza aver letto Gomorra poi!).
Io mi riferivo ad Andreotti, che non solo ha avuto (lui e la sua lobby) legami con la mafia, ma pure con la camorra (vedi il caso Cutolo, esponenti DC storici come Gava, e ancora prima l'efficenza del grande sindaco Lauro etc. etc.) che con la Sacra Corona Unita, che con l'n'drangheta, indipendentemente dalle strategie di ognuana di queste organizzazioni.
Ha avuto pure rapporti il vecchio Giulio, a quanto sembra, con quei sfigati della Banda della Magliana.
Allora, Giulio Andreotti non rappresentava Giulio Andreotti ma lo Stato (siamo indignati?).
Berlusconi rappresenta se stesso, così come un Mastella o Un DEll'Utri o un Cuffaro.
Con il senno di poi non giustifico moralmente ciò che può aver fatto il vecchio Giulio, ma rispetto ai giorni nostri (dove di mafia, ma MAFIA vera, non se ne parla più, come non esistesse) mi sembra davvero uno statista di alto livello, altro che nemico della patria.
(Non fraintendetemi, e non preoccupatevi, sto a fare un poco l'avvocato del diavolo)

Gallit

Anonimo ha detto...

così, giusto per quotare gallit sul rapporto andreotti/banda della magliana, ricordo che Andreotti nel 1977 aveva finanziato l'ex sindaco mafioso di Palermo, Vito Ciancimino, e la sua corrente con due assegni da 20 milioni l'uno (ritrovati), emessi dall'amico imprenditore Gaetano Caltagirone. Quasi un episodio di Tangentopoli ante litteram che fa il paio con una vicenda analoga, considerata dai giudici di Perugia uno dei possibili moventi dell'omicidio del giornalista Mino Pecorelli. Secondo loro, Andreotti negli anni Settanta aveva fatto arrivare alla Sir di Nino Rovelli finanziamenti agevolati e contributi a fondo perduto non solo dal ministero per gli Interventi straordinari per il Mezzogiorno (da lui diretto), ma anche dall'istituto di credito Italcasse, poi fallito. In cambio aveva ricevuto da Rovelli cospicue tangenti pagate tramite assegni circolari intestati a nomi di fantasia. I titoli di credito erano poi finiti in mano a esponenti della banda della Magliana.

Per alimentare l'idea del complotto in ogni dove, ricordo anche che la sera del 20 marzo 1979, Pecorelli viene ucciso nel quartiere Prati di Roma, poco lontano dalla redazione del suo giornale, con quattro colpi di una pistola calibro 7,65.
I proiettili trovati nel suo corpo sono molto particolari, della marca Gevelot, molto rari sul mercato, ma dello stesso tipo di quelli che verranno poi trovati nell'arsenale della Banda della Magliana nei sotterranei del Ministero della Sanità.

cy

Anonimo ha detto...

ecco come potete rimediare:

http://www.rai.tv/mppopupvideo/0,1067624,%255E%255E29885,00.html

ossequi,
cy

Anonimo ha detto...

http://www.rai.tv/mppopupvideo/0,1067624,%255E

%255E29885,00.html

questo è l'indirizzo corretto, tutto attaccato naturalmente.
cy

Anonimo ha detto...

mi precipito a vederlo1
fre