venerdì 27 dicembre 2013

Nel wine bar, seduto nella lounge zone con wi-fi free, musica chill out (ottimo il subwoofer) nel tentativo di non essere troppo out.

E' che l'altro giorno mi sono fatto un po' di autoscatti.
Poi mi hanno detto che no, si trattava di selfie.

venerdì 29 novembre 2013

Paraponziponzi-enza

Non che cambi molto in realtà, però in un modo o nell'altro, la vita è anche fatta di date.
Così, a meno che in un prossimo futuro non si compia il diabolico piano del dottor K1, i numeri continueranno a scandire le nostre esistenze e le date a spartire i capitoli dei libri di storia.

Allora, per spiegare in due minuti 'sto 27 novembre (e parecchi anni che l'hanno preceduto) ai posteri, chiamo a parlare Glauco Benetti.

giovedì 21 novembre 2013

Saggezza capitolina

Roma, esterno notte. Alla guida di un mezzo a 4 ruote, il non più giovane Cirello, dopo aver cambiato più volte itinerario per evitare imbottigliamenti, si ritrova sul muro torto, imbottigliato. Squilla il telefono.

M: - "Ciao Ci', ndo stai?"
C:  - "Sono bloccato nel traffico, c'è un delirio ovunque: mi sai dire che cazzo è successo?"
M: - "E' che ieri ha piovuto."

mercoledì 13 novembre 2013

Fa scintille sulla legna

Stimolato dall'ultima coperta di lana messa sul letto, dalla pioggia presa ieri in bici e dai guanti con le dita tagliate già indossati per guidarla oltre che dalla pila di cd formatasi mentre il vento schiaffeggiava le tapparelle mettendo a dura prova le coronarie di Samantina, volevo scrivere l'ennesima, annuale banalità su quanto il passaggio alla stagione invernale scateni ancor di più - per quanto possibile - l'orso che dorme perennemente dentro di me.

Però adesso, sono seduto con la finestra spalancata alle spalle, piedi nudi, Miles Davis a palla dalle casse e Samantina allungata sul tappeto a rosicchiare la carta di una vecchia confezione di Ringo. Allora, tenendo in caldo gli insulti che usciranno dai miei futuri piedi freddi, passerei alla notizia del giorno, ossia che la fregna ("che non diventi mai un Off Topic", dicevo un Roseo saggio), dopo esser stata la testimonial di tutto lo scibile umano, dalle creme rassodanti ai problemi intestinali, dai profumi alle emorroidi, è ora passata alla "cultura", se mi passate questo termine volgare.

"Tutti facciamo le uova fritte e facciamo l'amore e fumiamo, ah, non puoi sapere quanto fumiamo, quanto facciamo l'amore, in piedi, coricati, in ginocchio, con le mani, con le bocche, piangendo o cantando, e fuori c'è di tutto, le finestre danno sull'aria e tutto comincia con un passero o un'infiltrazione, piove moltissimo qui, Rocamadour, molto di più che in campagna, e le cose si arruginiscono, i tubi, le zampe dei colombi, i fili di ferro con i quali Horacio fa le sue sculture." 
(da Il gioco dl mondo, 1966 )

"Belen Rodriguez legge Cortazar", questa una delle prime notizie che mi è toccato leggere stamattina.

Che dire, magari qualche allupato della prima ora troverà la motivazione giusta per entrare in libreria e comprare qualcosa che vada oltre un certo numero di noiosissime sfumature.

Così almeno cambierà opinione sulla fregna, penso, senza essere per nulla fuori tema.
Ma lo so, sono un povero illuso.
 

martedì 29 ottobre 2013

I don't know just where I'm going

Goodnight ladies
ladies goodnight
It's time to say
goodbye, let me tell you, now.


Luglio 2007. Avevo da qualche tempo smesso di collaborare con quell'agenzia, troppi sbattimenti per una paga da fame (anche se l'immagine usciva in prima, rigorosamente senza firma) e per cosa, poi? Per fotografare 10 grammi d'erba sequestrati dal commissariato di Casal Palocco, Veltroni che scopriva targhe, assessori alle prese con inaugurazioni fasulle, conferenze stampa piene di nulla e ingiaccravattati insulsi.
Così, quando mi ritrovai a fotografare Montezemolo, Fiorello e Abete all'apertura dell'anno accademico della LUISS, capii che ne avevo avuto abbastanza. O forse non fu neanche colpa loro, ma dei tipici studenti dell'università di cui sopra - Tod's, camicie e maglioncini sulle spalle - che facevano avanti e indietro tra il bar e il locale di Radio LUISS (ebbene sì...), dj dal vivo con tanto di vetrata vista pulzelle in sfilata sui tacchi. E lo spirito di Brandon Walsh nel portafogli.

Insomma, dal mio punto di vista, i miei ex datori di lavoro mi dovevano qualcosa (tralasciando alcuni compensi tuttora mai corrisposti): inviai una richiesta di accredito all'auditorium, con in calce, come firma, tutti i dati dell'agenzia di cui sopra, copiati e incollati da una mail di tempo prima.
Nonostante una marea di paranoie e la sensazione di essere seguito dai servizi segreti di tutti gli stati mondiali, Mossad in testa, il 6 luglio mi presentai con congruo anticipo rispetto all'orario di inizio, ritirai l'accredito e con una chiara sensazione d'invincibilità, prima di entrare, mi scolai un paio di birre al bar. Ghiacciate.

Ascoltate le raccomandazioni di rito (no flash, si può scattare solo nei primi minuti), accredito in bella vista come un gioiello al ballo delle debuttanti, mi accomodai in prima fila, leggermente defilato rispetto all'asta del microfono.
Assolto per pochi secondi il mio finto dovere di fotografo, ascoltai in trance un concerto meraviglioso (“It's a masterpiece! E' un capolavoro!”, gridò un matto poche file dietro) e poco prima dei bis (come la ricordo, quella Sweet Jane!), tirai di nuovo fuori la macchina. 
Mi alzai. 
E scattai questa foto.


Ciao Lou, per dirla con Patti (che suppongo ignori quante volte il banana album abbia accompagnato i miei letti d'amore): “ti sono in debito”.

martedì 22 ottobre 2013

Riflessioni del mattino

Pensavo che parlare, in questo mondo, conti più dell'ascoltare. Bisogna che me ne faccia finalmente una ragione.

venerdì 11 ottobre 2013

E qualcuno dirà che c'è un modo migliore

Con tutta la retorica insita nell'essere Gramellini, però questo è. 
E la domanda è sempre la stessa, quella che si pone (o dovrebbe porsi) uno come me, semplicemente molto più fortunato di una moltitudine di altre persone di cui non conosciamo il nome: cosa farei al loro posto?

KEBRAT, LA RAGAZZA DAI RICCI NERI
 
Vi racconterò la storia di Kebrat, una ragazza di 24 anni con i capelli ricci, di un nero che tende al rosso.  
Giovedì mattina, credendola senza vita, l’hanno adagiata sulla banchina del porto di Lampedusa accanto ai cadaveri, avvolta come un pacco regalo in un foglio di alluminio dorato da cui spuntavano solo le braccia unte di nafta. Aveva la pancia talmente gonfia di acqua e gasolio che, oltre che morta, sembrava incinta.

Poi all’improvviso Kebrat ha aperto gli occhi e dopo una corsa in elicottero è approdata in un ospedale di Palermo. Tutta tremante, con un filo di voce dietro la mascherina dell’ossigeno, ha raccontato a un’infermiera la sua avventura.

Kebrat è scappata dall’Eritrea con un gruppo di amici. È scappata da un dittatore sanguinario che spedisce i dissidenti a lavorare in miniera come schiavi e ha trasformato l’antica colonia italiana in un carcere dove le guardie di frontiera sono autorizzate a sparare addosso ai fuggiaschi. Eppure Kebrat ce l’ha fatta. Ha attraversato il deserto del Sudan, prima a piedi e poi su un camion, e dopo due mesi inenarrabili ha raggiunto il porto libico di Misurata. Ha guardato il mare e la bagnarola che stava per salpare, senza neanche sapere dove l’avrebbero portata. L’importante era andare via. Ha consegnato i risparmi familiari di una vita allo scafista tunisino che si faceva chiamare The Doctor. E prima di partire ha indossato il vestito della festa.

Durante il viaggio non ha mangiato nulla. Ha bevuto acqua di mare perché c’era il sole e aveva tanta sete. Ogni tanto ha pregato Dio con gli altri profughi in tutte le religioni possibili.

Alle tre di notte di giovedì il mare era grosso, e appena in lontananza è apparsa la terra a Kebrat è scappato da ridere. I suoi brothers, come i profughi eritrei si chiamano tra loro, sventolavano le magliette in segno di giubilo.

Ma a mezzo miglio dalla costa il motore si è rotto. Kebrat non ha avuto paura: vedeva le luci dell’isola e delle altre barche. Un peschereccio si è avvicinato, poi è andato via. La ragazza ha urlato, ma quelli non sentivano o non volevano sentire. (Kebrat non sa che in Italia chi aiuta un profugo rischia l’avviso di garanzia per favoreggiamento. E non sa nemmeno che il Frontex, l’organismo europeo di pattugliamento che ci costa 87 milioni l’anno, è talmente sofisticato da non vedere un barcone di legno a mezzo miglio dalla costa).

È stato allora che qualcuno, per attirare l’attenzione, ha dato fuoco a una coperta. Hanno provato a spegnere le fiamme con altre coperte e con l’acqua di mare, ma è stato inutile. Così è arrivata la paura, tutti gridavano, si stringevano, si spostavano dall’altra parte del barcone, che ha cominciato a ondeggiare. Quando ha visto un suo amico ridotto a torcia umana, Kebrat ha trovato il coraggio di gettarsi nell’acqua gelida.

Ha visto donne che cercavano di tenere a galla i loro bambini, le ha viste affondare nel buio. Sembrava che salutassero, finché le braccia andavano giù.

Poi non ha visto più niente. Con in bocca il sapore del gasolio e del sale, riusciva solo a sentire le urla: come di gabbiani, ma erano persone. Ha nuotato, prendendo a schiaffi l’acqua per ore. Quando era allo stremo, a malincuore si è tolta l’abito inzuppato, pensando che il suo peso l’avrebbe portata a fondo. A quel punto è svenuta.

Ora è qui, nell’ospedale di Palermo, in prognosi riservata per lesioni gravi ai polmoni. Del vestito della festa le è rimasta solo la parte superiore del reggiseno, sulle cui coppe aveva scritto i numeri di telefono dei familiari.
Ma l’infermiera che ha ascoltato la sua storia non sopporta che Kebrat rimanga nuda. Raggiunge il suo armadietto, afferra una maglia bianca, la taglia e la adagia sopra di lei. “Prendila tu, a me non serve”.
Stasera andrò a letto chiedendomi come fa il mio Paese a ritenere giusta una legge che considera Kebrat una criminale, colpevole del reato di immigrazione clandestina, punibile con l’espulsione immediata e la multa fino a 5mila euro.

Buonanotte.

giovedì 3 ottobre 2013

Ma mica so cojone!

Con il rientro per una nuova stagione di cazzotti, ricominciano anche i magnifici dialoghi da spogliatoio:

- "La prima vorta co lavorato in pizzeria c'era la fija del titolare che me la voleva da, ma je ho detto de no."
Tutti, in coro: -"Perchè?!?"
- "Perchè da pischello non volevo scopà prima de 18 anni. Ero 'n cojone, lo so, che ce volete fa".

giovedì 12 settembre 2013

Io c'ero(reprise)

Sono ormai più volte che mi cito (questo è del 21 giugno 2007). Potrei iniziare a preoccuparmi.
In ogni caso, lo ricordo solo, seduto al tavolo vicino la finestra, bottiglia di acqua Nepi e un piatto di spaghetti pomodoro e basilico.


Io c'ero

Tutto pronto per il concerto di Enrico Sbriccoli, meglio conosciuto come Jimmi Fontana, un uomo di 72 anni con la faccia di Luca Brasi e i capelli di Kirk Douglas.
Tavoli gremiti al limite della capienza (108 paganti: 40 euro, cena+concerto), temperatura elevata ma ammorbidita da un delizioso alitare di vento, terreno in perfette condizioni, e vorrei vedere, visto che il “maestoso” palco era montato a ridosso del green della buca numero 9.
Jimmi, in completo nero e girocollo nero (stile Giorgio Armani per intenderci), prova subito a scaldare la platea un po’ freddina (eufemismo gigantesco) con uno dei suoi grandi classici (La nostra favola, 1978, “Mai, mai, mai ti lascio, mai, mai, mai da sola”), che da questo momento in poi verranno presentati sempre alla stessa maniera: “Visto che siamo quasi sul green vi canto un evergreen”…

Primi applausi.

Seguono canzoni da me sconosciute in cui il nostro non perde occasione per autocelebrarsi (“Ma chi li scrive più testi così? Chi?") e raccontare della sua carriera ancora al top (“Sono appena tornato da un concerto a Bruxelles, sono l’ambasciatore nel mondo dei marchigiani nel mondo”).
Si arriva finalmente al momento che tutti, compreso lo scrivente, aspettavano, quello che pensavo, ingenuo pischelletto, fosse il clou della serata: accompagnato da una big band di ben due elementi, Jimmi dimostra ancora di avere la tonalità di un tempo, cantando Il mondo (1965) con lo stesso arrangiamento di 40 anni fa. E non per mera vanità, ma per confidarci il nome dell’arrangiatore dell’epoca: "Il premio Oscar Ennio Morricone".
Il pubblico, età media sessantacinque, comincia a risvegliare emozioni sopite, alcuni si alzano in piedi.

Il clou.

“Visibilmente” emozionato, Jimmi confessa ai fan in adorazione il suo più grande rimpianto, datato 1971: visto che ne era l’autore, avrebbe voluto esser lui e non i Ricchi e Poveri, a cantarla sul palco dell’Ariston.
“Paese mio che stai sulla collina…”, ovazione che si tramuta in tripudio al momento del ritornello (“Che sarà, che sarà, che sarààààààààààà”), non volevo crederci, scatta la panolada in stile Santiago Bernabeu, tutti ad agitare tovaglioli solo per lui: Enrico Sbriccoli, meglio conosciuto come Jimmi Fontana.
Dentro di me sentimenti contrastanti: da una parte la gioia insita nella consapevolezza di vivere una scena irripetibile; dall'altra la delusione per non avere potuto goderne appieno. Sì, perchè invece di essere tra i tavoli, a sventolare il mio personalissimo bandierone, ero in piedi col sorriso inebetito, in disparte, vestito di nero. Cameriere.

domenica 8 settembre 2013

Accontentarsi

"Cirè, il tuo problema è che non ti accontenti."
(anonimo birraiolo)


E c'era anche un'altra fortuna: una donna buona.
C'erano voluti 56 anni per trovare Linda, ed era valsa la pena aspettare. Un uomo doveva provare tante donne per trovare l'unica, e se aveva fortuna lei sarebbe stata al suo fianco. Per un uomo, sistemarsi con la prima o la seconda donna della vita è comportarsi da ignorante; non ha idea di cosa sia una donna. Un uomo deve compiere il percorso fino in fondo, e ciò non significa solo andare a letto con le donne, scoparle una volta o due; vuole dire vivere con loro per mesi e anni.

Non biasimo gli uomini che hanno paura di una cosa simile, significa mettere l'anima a disposizione di tutte. Naturalmente alcuni uomini si sistemano con una donna, rinunciano, dicono ecco, è il meglio che posso fare. Ce ne sono moltissimi, in effetti la maggior parte delle persone vive sotto la bandiera della tregua: si rende conto che le cose non funzionano in modo proprio perfetto, ma non importa, accontentiamoci, dicono, non serve a niente percorrere di nuovo tutta la trafila, che cosa danno alla tv, stasera? Niente. Bene, guardiamola lo stesso.

(Shakespeare non l'ha mai fatto - Charles Bukowski, 1979)

venerdì 6 settembre 2013

Il resto lo trova naïf

A breve, quando il sole arretrerà di un passo, non so cosa succederà a chi continuerà ad utilizzare la macchina pur non avendone bisogno.
In ogni caso, passare in bici sotto al colosseo - con la strada praticamente deserta - senza rischiare di essere messo sotto da chi arriva in terza piena direzione circo massimo, è una ficata pazzesca.
Pareva una di quelle inutili ma speranzose domeniche ecologiche (..) ed invece era solo un venerdì qualsiasi. E ieri giovedì.
E poi boh, per tutti i fori, nonostante le orecchie nude, continuavo a cantare in loop "una mansarda in via Condotti: moquette, plafond, cassettoni. Giovani artisti e vecchie tardone si realizzano nel nobile bridge." 

Chissà cosa diavolo mi passava per la testa.

giovedì 29 agosto 2013

Il conflitto è amore

Purtroppo, durante la cena, ho visto il Tg5, conduttrice Cesara "ho fatto il lifting e adesso ho una palpebra che sbarella" Buonamici.
Ora, va beh che Silvio è un maestro della comunicazione (che, ricordiamolo, è sempre un po' come dire che Pippo Baudo è un professionsita) ma cazzo, che tristezza fare del giornalismo così.

La cassazione ha depositato nel pomeriggio le motivazione della sentenza. Nel tg, giustamente, è la notizia d'apertura. Però... va bene, lo sappiamo a chi date il lavoro (lui, al limite, vi dà lo stipendio), chiedo almeno un po' di pudore in più. Se proprio avete sepolto l'orgoglio.

Vi elenco i primi 8 (otto) minuti del TG5, roba da far impallidire il Tg4 degli anni migliori:

Partono mmagini varie (faldoni, toghe e via dicendo) durante le quali, Cesara legge le reazioni dei vari avvocati di Silvio, "sentenza incredibile", "sentenza con una motivazione inesistente", "sentenza del tutto fuorviante e totalmente sconnessa dalla realtà dei fatti". E via discorrendo. Leggendo, senza pause. O meglio, con quelle concesse dalla punteggiatura del testo, di una cosa, non so come chiamarla, che pareva un comunicato stampa mandato dalla difesa dell'imputato alla redazione del tg5.

Si prosegue con 10 secondi di dichiarazione di Epifani, noto principe del foro: "non è una sentenza basata sul nulla." Mmmh, forse meno di dieci secondi.

Subito dopo è invce la voce di Silvio in persona a preseguire, direttamente da una una registrazione rilasciata a Studio Aperto nel pomeriggio, "Sentenza allucinante: c'è un caso della democrazia in Italia: se qualcuno pensasse di eliminare il leader del primo partito italiano, ovvero il sottoscritto, e questo venisse fatto sulla base di una sentenza allucinante e fondata sul nulla ci ritroveremmo in presenza di una ferita profonda e inaccettabile per la democrazia".
E cose sentite e risentite da anni. Giusto per chiudere il "panino".

Poi si cambia e si passa all'Imu, con la dichiarazione di Silvio soddisfattissimo.

Mi alzo nervosissimo, sono solo le 20e10 e in casa mia sta già uscendo il caffè. Vado a spegnere il fornello con le mani che mi prudono tipo Trinità.

Poi mi siedo davanti al computer, riguardo questa scena e scrivo le ovvietà qui sopra.

mercoledì 28 agosto 2013

La lingua ufficiale

Ok, non sono iscritto a Twitter, però noto come sia diventato come e più di un'agenzia di stampa. Così, leggendo quotidiani, siti e blog vari, mi trovo spesso di fronte a sti cavolo di "massimo 140 caratteri".
Alla luce di questo  - e considerando che il romanesco, inteso come lingua, mi piace molto - vorrei fare un appello a tutti i twittettari (devo generelizzare per esigenza): la volete smettere di scrivere in romano? Che senso ha? Siete stucchevoli e fastidiosi. Mi state facendo odiare persino Petrolini.
E se non fosse ancora chiaro: m'avete rotto er cazzo.

Oppure, per dirla con Silvestri, "m'avete preso l'anima... de li mortacci vostra".
Grazie.

sabato 24 agosto 2013

La tristezza intelligente

Come molti di voi sanno, oltre ad essere asocialnetworkizzato (che per uno come me, coerenza a parte, è anche un clamoroso autogol), non possiedo uno smartphone.
E niente, nonostante la stima e l'amore che nutro per i miei amici e la loro intelligenza, confesso che, scena del bowling a parte, mi sono trovato in tutte le situazioni mostrate in questo video.

Allora penso che forse era meglio una volta, quando al ristorante, tra una pietanza e l'altra, rimanevo solo al tavolo a sorseggiare vino rosso mentre tutti i commensali erano fuori a fumare.

mercoledì 21 agosto 2013

We sang every song that driver knew

Rientri in macchina pensando a come sia possibile che persone a cui vuoi bene non la pensino come te su argomenti "oggettivamente" indiscutibili. Ovviamente solo nella tua testa. Poi, come per magia, dalla radio viene fuori lei, perfettamnete sincronizzata dall'accensione allo spegnimento del mezzo a motore (ogni tanto serve). E tutto sommato non mi sento più così solo.

martedì 30 luglio 2013

Daje Patrì

Considerando le volte che sono tornato a casa a piedi e ubriaco, pensavo per l'ennesima volta, che al posto di Federico, poteva esserci Cirello. E probabilmente il 99% delle (poche) persone che leggono queste pagine (da lastampa.it).

“Hanno ucciso il mio Federico
e rimetteranno la divisa
senza nemmeno pentirsi”


ANSA
Calamite sul frigorifero, una vetrinetta strapiena di oggetti, fotografie, coppe sportive e in un angolo, vicino al grande tavolo, un televisore. Rigorosamente non al plasma. Una casa normale, come tante. A cui manca una sola cosa, da 8 anni: un ragazzo. Si chiamava Federico Aldrovandi, aveva 25 anni, è stato ucciso. E’ diventato un simbolo. Ma per Patrizia Moretti, la madre era ed è soprattutto un figlio, il suo, quello che manca a questa casa.  

Oggi sarà un giorno speciale per la famiglia Aldrovandi. Questa mattina esce da carcere Paolo Forlani, l’ultimo dei 4 poliziotti condannati in via definitiva per aver ucciso Federico. Luca Pollastri, l’altro detenuto, è uscito sabato. Monica Segatto ieri ha terminato il suo periodo di domiciliari. Resta Enzo Pontani, ai domiciliari. Verrà presto liberato: ha solo iniziato la detenzione dopo gli altri. Poi, tutti e quattro, avranno finito di scontare la loro pena: 6 mesi. Loro, i poliziotti, dicono che è un’ingiustizia: gli unici in Italia, da oltre trent’anni, ad aver scontato per intero una pena per omicidio colposo (3 anni se li è mangiati l’indulto).

Lei, Patrizia Moretti, riflette: «Sei mesi per aver ucciso qualcuno è sbagliato, ingiusto, doloroso e soprattutto inaccettabile - dice - E non perché sei mesi siano pochi, anche se sarebbe ipocrita dire che non lo siano. Ma perché sei mesi non sono bastati. Se il carcere dev’essere riabilitativo, come io credo, ebbene per queste persone non lo è stato: non si sono mai pentiti, non hanno mai avuto una parola di dispiacere per la morte di Federico. Mai».

Patrizia Moretti, la sua famiglia, gli amici, hanno combattuto 8 anni per avere ragione. E domani tutto questo sarà finito. Almeno penalmente. La paura più grande, oggi, per Patrizia è che quei 4 poliziotti tornino a vestire la divisa. Cosa possibilissima, quasi automatica. La commissione di disciplina ha già emesso il suo verdetto: sei mesi di sospensione. «A fine anno, tutti torneranno in servizio. Quattro poliziotti, armati, condannati per omicidio, torneranno per le strade con un buffetto e senza che nemmeno si siano resi conto di quello che hanno fatto».

Patrizia era preparata a questo giorno. «Sapevamo che sarebbe arrivato». Ma è amaro lo stesso. «E’ la cultura delle istituzioni che deve cambiare. Questi poliziotti sono stati protetti, è evidente. E questo mi fa male. Quel che invece mi rassicura è che l’opinione pubblica ha reagito. Anche se la giustizia ha fatto il suo corso, è la condanna dell’opinione pubblica ciò che più conta. Solo così riusciremo a cambiare la cultura nelle istituzioni».

La cultura e anche qualcos’altro. Oggi l’ultimo poliziotto che ha ucciso Federico uscirà dal carcere. Dopo sei mesi. Pena scontata. Patrizia sa che potrebbe riaccadere. E allora l’opinione pubblica non basta: «Chi può, istituisca il reato di tortura. Chi non lo vorrebbe istituire ha una sola ragione: evidentemente lo perpetra. E questo non è più accettabile».

lunedì 29 luglio 2013

There's nothing you can say to make me change my mind.

[Così, dopo più di dieci anni, i Radiohead all'arena di Verona (Kid A/Amnesiac Tour - 2001) non possono far altro che scendere ed accomodarsi sul gradino di mezzo del mio personalissimo podio.]


La sensazione è di aver partecipato ad una cosa irripetibile, di quelle che racconterò ai miei nipoti, se mai ne avrò. 
Gli dirò di esser stato più volte sull’orlo del pianto, con l’orgoglio dell’uomo a petto nudo che si tampona gli occhi tra la folla con la scusa del sudore (almeno qui, qui e qui, anche se il video non renderà mai giustizia alla realtà). Dirò che non ho potuto godermelo anni prima, solo perché la data di nascita non si sceglie. E che per lo stesso motivo non c’erano Mason né Gilmour, lì sopra quel muro che si costruiva pian piano insieme ai fantasmi di Pink, prima di crollare.
“Nonno, ma tu non eri di quelli che volevano un palco scarno, con solo gli strumenti protagonisti?”, “Sì bimbi, l’ho detto, ma pensate davvero che nonno sia così stolto?”.
Racconterò di come non sia stata la stanchezza a svuotarmi e nemmeno il caldo. Ma la musica. Per una volta slegata dai ricordi di donne e sbronze, amici e risate, viaggi e pianti. Solo quel doppio cd consumato dal laser e mandato in loop per l’ennesima volta sin dal mattino.
Per qualcuno non è cinema, per altri è una delle più sconvolgenti esperienze vissute davanti lo schermo”, per qualche motivo m’è venuto in mente Mereghetti (nella recensione di Blue -  Dereck Jarman, 1993), mentre pedalavo nella notte verso casa, con la pelle ancora eccitata e il vento caldo a tapparmi la bocca, in preda alla morbidezza di Goodbye Cruel World. Nel silenzio della Roma ormai già in agosto.

Continuerò ancora per molto e tra una canzone ed un'altra, dirò pure che l'unica birra in vendita era l'odiatissima Ceres, che c'era l'unità cinofila all'ingresso e che il maiale volante si era trasformato in cinghiale, diventando nero e con un bel paio di zanne. 
Poi, di fronte all'incredulità, gli dirò che no, ero sincero: c'ero davvero. E che era andata proprio così.

giovedì 25 luglio 2013

Soltanto addio

Passare la notte alla guida in solitaria di un furgone senza avere con sè la consueta scorta di cd (non preparati causa perenne procastinazione), né ipod (tuttora a spasso nei meandri della stanza, spero), al di là della solita, inoppugnabile, verità, ossia che la radio - al netto di rarissime eccezioni perlopiù locali - è musicalmente inascoltabile, fa venire in mente giusto un paio di considerazioni:

- "Era d'estate" di Sergio Endrigo (grazie, Radio 2) è sempre un capolavoro di verità.

- Se incontro Malika Ayane per strada, la uso come sacco, senza guantoni.

martedì 9 luglio 2013

Davvero non so

Ci sono le volte in cui dubbi assaltano in massa, minano certezze e riscoprono rancori. E spesso accade in estate, quando ti domandi perché diavolo i romani non abbiano fatto Roma non dico a Ostia ma quantomeno ad Ostia Antica. E che sarebbe stato comunque bello andarci nelle scampagnate del fine settimana, da ovest verso est però, non viceversa.

Le volte in cui continui a chiederti perché il rosmarino non riesca mai a crescere in un vaso, ma che se ne stia lì, tirando avanti fino al prossimo arrosto, a sopravvivere come gli animali in gabbia ignoranti del suicidio.
Ci mancava pure l'errore di piantare un piccolo di basilico nello stesso vaso della salvia, nota (mi disse in seguito l'anche agronomo Mr Gallit) divoratrice di energie altrui. Così, mi ritrovo il giovane compagno del pomodoro fresco con le foglioline sempre più piccole, di un verde deperito ma buone lo stesso, in preda ad una sorta di sortilegio alla Dorian Gray, col basilico nel ruolo del dipinto.

E poi una marea di voglie che solo un bagno dove dico io - e con le persone giuste – potrebbe placare. Con i piedi a disegnar galassie sulla sabbia, gli sguardi persi verso orizzonti laidi e le mani pure. Con la sempiterna menzogna che con l'età, al netto di tutte le perdite, si guadagni comunque in fascino.

Allora sono qui, a petto nudo col silenzio post prandiale del sole che filtra dalla tapparella nel quartiere dei condottieri, a pensare al Capitano Benjamin L. Willard nel risveglio di Saigon.

E come lui mi alzo, guardo fuori ma invece di finire lo scolo di whiskey avanzato dalla sera prima, metto un pezzo. Forse, magari, Mick e soci sapranno dirmi cosa fare.

mercoledì 3 luglio 2013

E buon lavoro

Dormiente sul divano in orari inconsueti. La telefonata che desta. Allora fino all'alba. Sul mare dell'est. A mangiar porchetta senza pane. Con le mani unte e i piedi nudi.

giovedì 27 giugno 2013

Daje Stè, mo è tutta discesa.

ANSA.it

Addio a Stefano Borgonovo 
Ha legato il suo nome a lotta alla Sla

27 giugno, 19:32 
E' morto oggi Stefano Borgonovo, ex calciatore del Milan, della Fiorentina e della nazionale che lottava da lungo tempo contro la Sla.

-

Copio e incollo, il post che scrissi il 23 settembre 2008, quando Borgonovo comunicò la sua malattia.
Ciao Stè, sempre sotto la curva.

 
DAJE STE'

Ha aspettato il 5 settembre scorso per dircelo tramite il sintetizzatore, perché con la lingua atrofizzata non c’è altro modo per parlare, sussurrare e sentire quella voce che non sembra neanche più la tua.
Dopo averne annientati e uccisi molti altri, la Sla ha fatto breccia anche nel corpo che fu sgusciante di Stefano Borgonovo.
Sclerosi laterale amiotrofica, e qualcuno prima o poi mi dovrà spiegare perché le malattie in genere, quelle più subdole in particolare, abbiano questi nomi da supercazzola. Come le medicine.

“Al mattino prima di far colazione mi prende una pillola di Dimoxil 2g, poi una di Martinox a metà mattina. Dopo pranzo scioglie in acqua 7 gocce di Castopan, mi raccomando dopo pranzo, a stomaco pieno. La sera, magari dopo una bella tisana, dovrebbe chiudere il ciclo (doppia sottolineatura sotto il nome che solo dopo capisci riferito a delle supposte) con una compressa di Ciclovir.”

Ora, non so se il Dimoxil, il Martinox, il Castopan e il Ciclovir esistano davvero, sono convinto però che si potrebbero sostituire i corsivi con quelli coniati dal Conte Mascetti, tipo Tarapiatapioco, Antani, Scribal, Posterdati e non cambierebbe nulla, almeno per me. Chissà come dev’essere infilarsi nel di dietro una compressa di Cofandina.

Va be’, sto tergiversando, tutte queste inutilità per dirvi che, letta la notizia, non mi è stato difficile tornare a rivivere uno dei momenti più esaltanti della mia storia di spettatore calcistico:
27 settembre 1992, quarta giornata di andata del campionato di serie A, allo Stadio Adriatico di Viale Pepe, il Pescara ospita il Torino. Arbitra Cesari di Genova di fronte a circa 20mila spettatori di cui 12mila abbonati (altri tempi cazzo, altri tempi).

In Curva Nord, armati di abbonamento, Cirello (in sciarpa “Bronx Pescara”) e La Signora (in sciarpa biancazzurra non identificata, rigorosamente legata al polso destro) sono ai loro posti ben prima del calcio di inizio.

Il Pescara viene da un inizio di campionato che i tifosi non dimenticheranno mai: vittoria all’esordio per 1-0 all’Olimpico contro i giallorossi (gran gol da centrocampo di Totò Nobile con evidente complicità di Cervone) e sconfitta casalinga per 4-5 contro il Milan di Capello al termine di una partita memorabile, con i biancazzurri in vantaggio per 4-2 al 23° del primo tempo (…) salvo poi lasciarsi annientare dal tipico scellerato entusiasmo galeoniano prima e da una tripletta sontuosa del cigno di Utrecht, un certo Marco Van Basten, poi (da vedere e rivedere lo stop sul secondo gol dopo l’assist di Savicevic, il ”genio”).
Ma tutto questo meriterebbe un post a parte al contrario della sconfitta a Brescia per 1-0 la giornata successiva.

PREPARTITA:
27 settembre ‘92 dicevo, ancora con qualche granello di sabbia tra i (pochi) peli, raggiungiamo la nostra solita zona di competenza, proprio sopra i tamburi, tra un Orso con indosso il classico bomber griffato "Bad Boys", Franco Imperiale e Marcello Bocchino a cavalcioni sul parapetto, rigorosamente con la faccia verso casa mia e la schiena a guardare il campo.

PRIMO TEMPO:
Il Pescara non c’è e dopo un quarto d’ora ci pensa uno dei talenti più inespressi di quegli anni a metterla dentro: Vincenzino Scifo, 0-1.
Poco più di venti minuti e il migherlino della coppia offensiva granata raddoppia, probabilmente (non ricordo) servito di testa da Casagrande, Pato Aguilera beffa “saponetta” Savorani: 0-2 e sciarpata rimandata. Per il momento.

INTERVALLO:
“Noccioline gommeeeeeee!!! Ceci, fave…e semini!!!”

SECONDO TEMPO:
Nella ripresa il profeta cerca di ritrovare aggressività inserendo la futura bandiera Ottavio Palladini in luogo dello spento (quando mai…) e fresco campione d’Europa John Sivebaek. Il Pescara fatica a creare azioni degne di nota con il Toro sempre in controllo e mai in affanno nemmeno dopo l’uscita del fin troppo estroso compagno di sbronze Baka Sliskovic e l’ingresso del quasi campione del mondo (nel 1982 gli venne preferito Selvaggi proprio in extremis) Edi Bivi.

Insomma, una di quelle partite che non valgono il prezzo del biglietto.
Almeno fino all’89esimo:
palla in verticale di Allegri verso Borgonovo poco prima dei 25 metri, semi-veronica a seguire per mandare al bar il sandwich di Cois e Annoni e staffilata all’angolino che non lascia scampo a Marchegiani (dal secondo 22). 1-2.
L’Adriatico rumoreggia, sembra crederci e vuole l’assalto finale. A parte mio padre, che una volta a casa confessò di aver lasciato la tribuna alla Boniperti maniera, qualche minuto prima della fine della gara. Mai scelta fu più infausta.

91esimo:
palla spedita dentro l’area, Borgonovo è all’altezza del dischetto, spalle alla porta marcato da Pasquale “O animalo” Bruno. Il numero 9 biancazzurro controlla di coscia e si gira, ora vede la porta, tocco a liberare il destro e botta che s’infila a mezza altezza verso il palo alla sinistra di Marchegiani.
2-2 e conseguente, inevitabile delirio. Non ricordo l’esultanza dei giocatori in campo per il semplice fatto che ero impegnato a non lasciarci la pelle in quel turbinio di energumeni, bestemmie gioiose, scarpe e occhiali perduti e voli per nulla pindarici sui gradoni della nord.

Vedrò la corsa a perdifiato di Stefano solo a Novantesimo, descritta con orgoglio da Mario “il bianco” Santarelli.

La stagione fu un totale disastro, il Pescara chiuse tristemente ultimo a 17 punti e Borgonovo con 9 reti all’attivo.
Però all’ultima giornata, già da tempo retrocessi in serie cadetta, battemmo la Juve 5-1. E queste so' soddisfazioni.


IL TABELLINO

PESCARA - TORINO 2-2 (0-2)
Pescara: Savorani, Sivebaek (al 46' Palladini), Nobile, Dicara, Righetti, Mendy, Ferretti, Allegri, Borgonovo, Sliskovic (al 59' Bivi), Massara. A disposizione: Marchioro, Alfieri, Compagno. All.: Galeone.
Torino: Marchegiani, Bruno, Sergio, Mussi (al 79' Cois), Annoni, Fusi, Sordo, Casagrande, Aguilera (al 72' Aloisi), Scifo, Venturin. A disposizione: Di Fusco, Zago, Silenzi. All.: Mondonico.
Arbitro: Cesari di Genova.
Marcatori: Scifo 14' (T), Aguilera 39' (T), Borgonovo 88', 91' (P)
Spettatori: 17.822 di cui 12.364 abbonati e 5.458 paganti.

martedì 25 giugno 2013

Low and behold


Questo è il modo in cui va il mondo
non puoi mai sapere
dove mettere tutta la tua fede
e come crescerà

 
mi solleverò
bruciando dei buchi neri nei ricordi bui
mi solleverò
trasformando gli errori in oro


questo è il modo in cui passa il tempo
troppo veloce da domare
improvvisamente ingoiato dai segni
guarda!


mi solleverò
troverò la mia direzione magneticamente
mi solleverò
giocherò il mio asso nella manica


(Rise, da Into The Wild, soundtrack - Eddie Vedder, 2007)
 

L'anno scorso accadde il 30 aprile. A 'sto giro molto più in là, pochi giorni prima di arrivare nel mezzo del cammin, ma ne è valsa la pena.
Con la timidezza dell'amore, del primo bacio che arriva dopo uno sguardo prolungato mentre pregusti il sapore e ne accarezzi il profumo con la consapevolezza di aver comunque aspettato troppo. Così i piedi, che indugiano nella sabbia come gli occhi negli occhi, perché sai che no, quell'acqua non si tirerà indietro. Mai. E che avrai tutto il tempo che vuoi per giocare a Ciclope.

Poi il brivido. Rinnovato. Diverso e uguale. Che sa sempre di libertà e già di birra ghiacciata.
E il riso patate e cozze successivo, altro non è che il gol capolavoro dopo una partita giocata da dio.

sabato 8 giugno 2013

Gli eroi son tutti giovani e belli

L’altro giorno, dopo cena, per motivi indipendenti dalla mia volontà (ma probabilmente dal mio sottile lato masochista), mi sono trovato sul divano di casa a vedere gli ultimi 40 minuti di Come un Delfino, tipica fiction fatta con i piedi (ma brutti brutti) in onda su Canale 5.

Ora, mettendo da parte quelle cose che si notano dopo 10 secondi di visione, tipo la pessima regia e l’inguardabile fotografia, l’orribile recitazione e gli agghiaccianti dialoghi, i terrificanti green screen e le facce da fotoromanzo, vorrei qui soffermarmi sulla sceneggiatura, il testo che decide il susseguirsi degli eventi. La storia. Il racconto. 

Qui di seguito, provo a descrivervi quello di cui sono stato testimone, roba da far impallidire le mirabolanti iperboli di nonno Simpson:
il protagonista, Raoul Bova (che poi scoprirò essere anche il regista del capolavoro) è un atleta, precisamente un nuotatore professionista e, sorpresa delle sorprese, specialista nello stile del delfino.
Il nostro tursiope si guadagna col sudore la qualificazione ai mondiali di nuoto di Roma, ma viene scoperto positivo al doping proprio nella gara che gli aveva garantito l'ingresso tra i migliori.

Subito dopo, non so dirvi come e perché, viene fuori che è stata la mafia a volerlo far fuori, per ordine di un un boss siciliano, interpretato, indovinate un po’, da Tony Sperandeo, alla sua duecentesima "variazione" del ruolo.

Dopo una serie di vicissitudini, il nostro eroe viene scagionato, il tempo fatto nelle qualifiche considerato di nuovo valido e la sua riammissione alla rassegna iridata comunicata in diretta durante una conferenza stampa nei locali con vista sulla piscina dei mosaici del foro italico, durante la quale, il delfino tricolore lancia un’accusa indignata e pesantissima contro i mafiosi, la malavita, il valore dell'esistenza terrena e via discorrendo (e ora, per favore, immaginatevi uno che non sa recitare nelle vesti di indignato).

Da un’ignota campagna siciliana, Tony Sperandeo – alternato al volto all’eroe in un montaggio serratissimo – segue in diretta l’evento (sul Tg5!!!!) e giura vendetta fumando un grosso sigaro cubano.

Nonostante il poco allenamento successivo alla squalifica, il nostro pesce guadagna la finale grazie ad un terzo posto in batteria, con un crono che non lascia troppe illusioni.
Uscito dalla vasca, guardando gli spalti, Raoul si accorge dell'assenza di una sua amica (o qualcosa di più) e va in puzza.

Nel dopo doccia, la lontra umana riceve un sms dall’amica di cui sopra che lo invita “alla vecchia discarica” per rivelargli scottanti novità sui mafiosi che l’avevano incastrato.
Ovviamente è una trappola. L’amica, precedentemente rapita di fronte Castel Sant’Angelo (…) non era che un’esca (ma non mi dire...).

Segue una pietosa sparatoria, in cui la polizia (arrivata in loco grazie ad una microspia piazzata addosso a non ho capito chi) riesce ad evitare il peggio: 

i mafiosi muoiono, la ragazza si salva (grazie al tonno, in versione Stallone nella scena madre di Cliffangher), mentre l’amico, che aveva tradito l’anfibio vendendolo ai malavitosi per storie di debiti, muore nella tipica maniera del redento, ovvero frapponendosi tra lo squalo e la pallottola, non prima, però, che un alro proiettile sparato dal cattivone mafioso con la barba di due giorni, colpisca in pieno il quadricipite destro del salmone nazionale.

Purtroppo, il giorno dopo c’è la finale dei 100 delfino e naturalmente non c’è modo che un uomo possa parteciparvi con la coscia annientata da un colpo di pistola sparato praticamente a bruciapelo. 
Per i comuni mortali forse, non per il marlin de noartri.

Raoul si presenta ai blocchi di partenza della finale con una vistosa fasciatura, si tuffa in acqua (segue interminabile inquadratura subacquea con il sangue che fuoriesce dalle bende e si fonde col cloro in controluce) e alla fine, dopo esser passato quarto alla virata dei 50 metri, va a vincere. 
Sì, arriva primo.

Ecco, i divanoidi, ormai in brodo di giuggiole - e in evidente delirio da Hooligans con litri di birra in corpo - non volevano crederci: Raoul Bova vince la medaglia d’oro nei 100 delfino ai mondiali.
E 24 ore prima (o forse meno) gli avevano sparato in pieno - non di striscio - nel bel mezzo della coscia. 
"L’immensa gloria di un oro olimpico" (era il mondiale, va bene,, ma la citazione di Bisteccone ci sta sempre tutta). Roba da far impallidire anche la sospensione dell'incredulità

Pensavo di metterci meno a spiegarvi questa serie di idiozie (ah, m’ero dimenticato le scene con Ricky Memphis in versione prete sotto scorta…) ma invece la cosa si è rivelata più coinvolgente del previsto.

Allora capisci perché l’auditel segna quasi 5 milioni, mentre pensi al sagace e mai fuori moda signor Valdoni e al suo ormai sempre verde: “E poi dice che vince Berluscone!”

giovedì 23 maggio 2013

Come un cane senza un osso

Generalmente, dopo un paio di Negroni sul groppone, si partiva con l'idea fissa di una mugnaia in bianco, ossia mantecata in padella con aglio e peperone dolce. Una sicurezza.

Per il secondo, dopo aver accettato qualche antipastino “senza esagerare” (quando è periodo, con del pane abbrustolito condito dal verde olio di prima spremitura), ci si faceva consigliare dal buon Gianni - impeccabilmente vestito in abito scuro di un paio di taglie superiori – sempre prodigo nell'elencare la classica tagliata, una fiorentina, del maialino “appena fatto”, la lepre, col sugo della quale si erano condite le pappardelle, del succulento formaggio alla brace e via discorrendo. Il tutto accompagnato da un paio di vassoi di patate, altrettanti di misticanza e del vino sfuso di Valentini, serviti con la consueta bonarietà da Renato “noi giovani”.

Ma non preoccupatevi, non fatevi ingannare dai verbi al passato: Gianni e Renato “della Bilancia” sono ancora al loro posto. Come La Bilancia, del resto. E inevitabilmente anche il generosissimo e vulcanico (…) patron Sergio.

Dicevo così, per raccontare cosa succedeva nelle nostre teste durante la mezzoretta che ci separava dalla destinazione – scavallando la collina passando per Cappelle, facendoci beffe della "tigre dell'autoradio", per poi proseguire su di una strada diritta come una freccia, città addormentate, niente traffico e il rapido della Union Pacific che ci restava indietro nel chiaro di luna - in una macchina, la mia (anzi, di mia madre), sempre stipata all'inverosimile dai corpicini di passeggeri mai sotto i 90 chili. Tutti fumatori incalliti.

All'andata, praticamente in tutte le trasferte, non si poteva rinunciare ad Alabama Song (ascoltata, riavvolta, ascoltata e riavvolta a piacimento del Sig. Valdoni, sempre con il medesimo entusiasmo dei passeggeri); e da Riders on the Storm, nel boccheggiamento del ritorno. Entrambe sputate da una musicassetta (Basf, se non ricordo male) con il nastro prossimo allo sfinimento e dal fruscio ormai diventato parte integrante della partitura.

Insomma, se non si era capito, questo era il mio mestissimo omaggio ad uno dei nomi più belli della storia del rock, Ray Manzarek, che continuerà a suonare il suo organo perennemente sotto acido (ora, il fatto che non si capisca se sia lui o l'organo ad essere sotto acido, è una cosa voluta dallo scrivente), anche se non a Venice Beach. Dove la mugnaia non sanno manco cos'è, poveri loro.

giovedì 16 maggio 2013

Con i chiodi negli occhi

Sarà che vivrei sempre in infradito, sarà che una bella birra ghiacciata tra le mani con le gocce dell'ultimo bagno ancora tra capelli si spiega solo con un sorriso ebete, sarà che alba e tramonto hanno più senso se nascono e scompaiono su quel confine condiviso a forza di carezze, sarà che troppi indumenti addosso mi danno fastidio, sarà che ne ho un rispetto quasi patologico da sfociare nella paura, sarà che è assurdo pensare che sotto di te ci possano essere chilometri e degli animali molto più simili a lampadine che a pesci, sarà pure che il grigiore dell'inverno ha più senso se si guardano le onde che schiaffeggiano gli scogli e rimboccano le ultime spiagge, sarà che i ricordi veri sono sempre da quelle parti e che mi ci innamoro spesso, sarà che lo iodio fa bene ai bambini e pure alle donne, sarà che non mi ci abituerò mai, sarà che i marinai gli ho sempre visti come degli dei armati di coraggio e fantasia, sarà che le telline mica le puoi prendere tra muschi e licheni. Sarà che guardando un po' più in là dei propri piedi, si capisce che unisce e non divide.

Sarà.

Sarà per tutto questo che le tragedie di mare mi segnano sempre molto. Mi stracciano le vele e abbattono l'albero maestro. E va bene che la mia corazza è fine come la carta forno, ma in questi casi non terrebbe neanche quella di Terminator. Allora mi commuovo. Pensando a chi di mare e col mare voleva viverci e magari morirci con le rughe sulle mani e invece s'è ritrovato intrappolato nel cemento.

E tutto questo a Genova poi, con Crêuza de mä a vegliare su tutti.
Così, m'immergo in quel meraviglioso saluto del porto e dei suoi abitanti a De Andrè, sporcato solo dagli applausi di chi non capisce o ha paura di rompere gli argini.
E penso che, quando sarà, ne vorrei anche io uno così, ma non sarò stato abbastanza coraggioso da meritarlo.

lunedì 13 maggio 2013

Mi dia del lei

Roma, esterno giorno. Il giovane Cirello si aggira, testa alta e birra in pugno, fuori dal bar dell'Angelo Mai.
Due bambini stanno giocando a "passaggi e tiri in porta" con i bidoni della monnezza a far da pali.

Bambino: - "Mi scusi, ma lei ha giocato il torneo del 25 aprile?"
Cirello: - "Al Pigneto? Sì."
B: - "E avete pure vinto, ve'?"
C:  -"Eh sì..."

Sono queste le cose belle della vita, tipo la primavera che si accomoda tra le vie.

venerdì 10 maggio 2013

Divani, brande e birre

La bellezza di sapere che casa tua è un porto sicuro per viandanti stanchi e assetati, viene fuori ogni volta che si fa la conta degli spazzolini rimasti a far salotto nel bicchiere di fianco lo specchio del bagno.
Nella ricognizione di ieri, ad esempio, si è scoperto che nessuno degli otto spazzolini presenti apparteneva ad un membro della casa.

giovedì 9 maggio 2013

Con la vanga d'oro

"E' morto Giulio Andreotti. Finalmente disponibili i coperchi."
(da Spinoza.it)

Non male l'idea del CONI, quella del minuto di silenzio per Andreotti, dico.
Cioè, non si sono toccate vette di sbigottimento come la concessione dei funerali di stato a Mike Bongiorno, però c'è da dire che, insomma, nonostante il buio degli ultimi anni, si può dire che Giulio (lui sì) come minimo "se l'andava cercando".

C'ho pensato un po' e alla fine credo che l'abbiano fatto consapevolmente, proprio per fargli prendere una bordata di fischi e qualche vaffanculo. Dai su, ho capito che "il potere logora chi non ce l'ha" (ma inevitabilmente corrompe chi lo possiede), però non penso proprio si aspettassero che gli spettatori dedicassero un silenzio composto ad un colpevole di associazione a delinquere (di stampo mafioso, se fosse esistito il reato). Ma neanche una standing ovation tipo su Born to Run o un fiume di accendini accesi (o dovrei dire telefoni?) sulle note di Albachiara.

Forse se ne starà stato zitto Bruno Vespa, che l'aveva inspiegabilmente dichiarato innocente su Rai Uno. O probabilmente neanche lui. In fondo, da buona vela qual è, sarà in attesa di capire da dove soffi il vento.

Infine, mi chiedo se stiamo scavando oppure no e mi rispondo che almeno, al tempo, in tribunale ci si andava e ci si faceva processare, mica come adesso, dove l'imputato manda le sue pecore a manifestare come studentelli durante le occupazioni fatte di canne e limonate (e non intendo le spremute). Anzi, all'epoca arrivava la Digos e ci si poteva pure divertire. Lì manco più quella. E sprofondiamo di tristezza.

venerdì 12 aprile 2013

Che cos'è l'amore?

Roma, esterno giorno. Il titolare della Festicciola è in zona Capannelle a noleggiare apparecchi (non cavalli).

Renato, capomagazziniere da diversi lustri (uno di quelli che si muove da par suo tra manfrottini e zeppette, spadini e vipere, tartarughe e binari) risponde così ad uno dei suoi collaboratori, un ragazzo di chiara origine magrebina che, in felpa con cappuccio d'ordinanza, non si spiega come noi tutti, arrapati dal sole e dagli odori della primavera, stessimo a disquisire sui massimi sistemi (l'AS Roma, soprattutto), con addosso solo una maglietta di cotone:

"Ma te lo sai perché amo Roma?
Perché quanno uno me chiede 'te da dove vieni?', io nun vedo l'ora de risponne."

lunedì 8 aprile 2013

Er core

Ok, va bene che il mio cuore è biancazzurro (e non biancoceleste) e va bene pure che uno dei miei coinquilini è giallorosso.
In ogni caso, penso di poter dire "senza fallo" (per citare il presidente Borlotti), che l'inno della AS Roma - appena ascoltato a palla - è il migliore di tutti (e mo non mi ricacciate l'urlo della Kop, intendevo entro i confini nazionali).

Ecco, appunto, finisce l'inno, spengo lo stereo e bussano alla porta. E' il vicino:

"Oh rigà, me so fomentato troppo, me posso venì a vede la partita da voi?"

mercoledì 3 aprile 2013

Sfiorisci Piercarlino

Il discorso, è che alle 7 del mattino del nuovo anno, di fronte all'ennesima, ultima vodka apparecchiata da Manetta, canterò sempre a squarciagola che "la prima sera devi dimostrare che al mondo solo tu sai far l'amore" e per questo non finirò mai di ringraziare il magico Califfo. 

Ma probabilmente, questa, sarà la prima (e forse ultima) volta che lascerò la mia voce su queste pagine.
Perché sono troppo legato a questo pezzo. Così, ogni volta che lo sento e lo canto, da solo, con la porta chiusa e le dita che tremano sulle corde, mi si stringe la pelle sulle ossa. Non ci posso fare un cazzo. D'altronde, a cos'altro dovrebbe servire, la musica? E questa sensazione (kafkiana, mi verrebbe da dire...), me la danno quelli che non tornano più. Pensando ai rimasti, che mai ne saranno all'altezza. Ciao Enzo.





sabato 23 marzo 2013

Montesquieu, prega per noi.

Nel delirio generale della vicenda dei due fucilieri della marina italiana, è disarmante notare come, anche dall'India, ci debbano spiegare una cosa apparentemente sacrosanta in uno stato di diritto: la separazione dei poteri.
Principio evidentemente messo in discussione da questi ultimi vent'anni, che trovano l'acme nella manisfestazione di piazza in corso adesso, in cui si sostiene, di fatto, l'improcessabilità di una persona.

Così, al giornalista che gli domandava come mai il ministro degli Esteri Salman Khurshid avesse rassicurato l'Italia sul fatto che i due marò non rischiano la pena di morte, il Ministro della Giustizia Ashwani Kumar ha risposto: "Come può il potere esecutivo dare garanzie sulla sentenza di un tribunale?"

Semplice, no?

giovedì 21 marzo 2013

Se solo immaginasse la vergogna

Niente, lo confesso. Confesso che, senza pensarci più di tanto, ho appena mandato una mail con questo oggetto:

"Ecco l'img per il link bio dalla home."

E vi giuro che no, purtroppo non c'era dietro un'idea di supercazzola.

martedì 19 marzo 2013

M'incontro solo

Come immagino molti di voi, anche io, oltre a cantare (ballare no, ma quello manco in compagnia), parlo da solo.
Per dire, poco fa, mentre il sole entrava, Samantina puliva il pavimento dalla briciole di pane e Homer cercava di mandare a monte il matrimonio di Apu e Manjula travestendosi in maniera improponibile da Ganesh, mi sono ritrovato a dire:

"Ottimo Cirè, cottura degli spaghetti perfetta."

Poi ho sentito un muso indagatore guardarmi, sormontato da due giganti orecchie in posizione interrogativa. E niente, era troppo piccante per dagliene due fili.

lunedì 18 marzo 2013

Qualcosa di simile

Una vigna ben lavorata è come un fisico sano, un corpo che vive, che ha il suo respiro e il suo sudore. E di nuovo, guardandomi intorno, pensavo a quei ciuffi di piante e di canne, quei boschetti, quelle rive - tutti quei nomi di paesi e di siti là intorno - che sono inutili e non danno raccolto, eppure hanno anche quelli il loro bello - ogni vigna la sua macchia - e fa piacere posarci l'occhio e saperci i nidi.
Le donne, pensai, hanno addosso qualcosa di simile.

(La luna e i falò - Cesare Pavese, 1950)

venerdì 15 marzo 2013

Quel che non mi manca

Ti ritrovi ad ascoltarla nel cazzeggio più totale, suonata bene e cantata male, con il gomito poggiato su di un bancone che ti separa da qualcosa molto lontano dall'idea di bar.
E mi convinco ancor di più che in De Andrè, alla fine, il concetto di canzone minore, non esiste.

martedì 12 marzo 2013

Ribbons of euphoria

Come tutti gli ex adolescenti sanno, ad una certa età si iniziano ad apprezzare cose un tempo nascoste dall'irruenza e dalla scarsa capacità critica tipiche della gioventù: la supremazia del cioccolato fondente su quello al latte, ad esempio. O del culo sulle tette.

Allora, pensandoci, posso dire di aver finalmente interiorizzato cosa mi facesse amare Bold as Love più degli altri leggendari brani (tipo l'intro etereo di Little Wing o la meraviglia di malinconia che è Castle Made of Sand) contenuti nello stesso album (Axis: Bold as Love - Jimi Hendrix, 1967).
Non era il Viola, né tantomeno il Blu, il Turchese da grembiule o il Giallo da canarino. L'arancione figuriamoci, non mi ha mai fatto impazzire.
Il Rosso, invece. Spavaldo, rotondo e audace (come l'amore).

Così, in un pomeriggio diverso dagli altri, ho capito cosa donasse ai nastrini tutta quell'euforia: il fiocchetto.

venerdì 8 marzo 2013

Le bombe come neve

Leggo questa notizia e inevitabilmente mi rivedo canterino e pedalante a girare di giorno per quelle vie di odori che resistono, alle mai troppe Peroni sotto al pergolato di Marani, o al caffè a 60 centesimi al Bar dei Sanniti, piacevole consuetudine prima dei cazzotti. O quando, dopo la meraviglia del Mandrione che sbuca sulla Tuscolana, ti ritrovi a Cinecittà, anche se non di domenica.

lunedì 4 marzo 2013

And here comes emptiness crashing in

Non che c'entrino molto, o forse sì, perché sempre di vita si tratta. Insomma, mentre ascoltavo questa,

Yesterday seems like a life ago
Cause the one I love
Today I hardly know
You I held so close in my heart oh dear
Grow further from me
With every fallen tear

(Another Lonely Day - Ben Harper, 1995)

 leggevo quest'altro:
Anticipando il probabile duello finale dei prossimi mesi, Grillo ha attaccato Renzi dandogli della «faccia come il c.» (in comproprietà con Bersani) e del «politico di professione». Per lui e per una parte dei suoi elettori le due definizioni sono sinonimi. Tralascio ogni giudizio sull’uso del turpiloquio, uno dei tanti lasciti di questo ventennio che ancora prima delle tasche ci ha immiserito i cuori, portandoci a considerare normale e persino simpatico che un leader politico si esprima come un energumeno. Ma vorrei sommessamente segnalare che essere professionisti della politica non è una vergogna né una colpa. E’ colpevole, e vergognoso, essere dei professionisti della politica ladri e incapaci.  
 
In questi ultimi decenni ne abbiamo avuti un’infinità e la stampa porta il merito ma anche la responsabilità di averli resi popolari, preferendo esibire i fenomeni acchiappa audience piuttosto che il lavoro serio ma noioso di tanti membri delle commissioni parlamentari.  
Dando agli elettori la percezione che tutti i politici fossero uguali a Fiorito o a Scilipoti e che chiunque potesse fare meglio di loro. Non è così. Il «chiunquismo» è una malattia anche peggiore del qualunquismo e porta le società all’autodistruzione. Questa idea che tutti possono fare politica, scrivere articoli di giornale, gestire un’azienda o allenare una squadra di calcio è una battuta da bar che purtroppo è uscita dai bar per invaderci la vita e devastarcela.  
 
A furia di vedere buffoni e mediocri nelle foto di gruppo della classe dirigente, ma soprattutto di vedere ovunque umiliata la meritocrazia a vantaggio della raccomandazione, siamo sprofondati in un’abulia che ci ha indotti ad accettare senza battere ciglio ogni sopruso e ogni abuso antidemocratico (a cominciare dai partiti padronali e da una oscura rockstar del capitalismo come presidente del Consiglio). E ora che ci siamo svegliati, per reazione vorremmo buttare tutto all’aria, convinti che per fare politica bastino un ideale e una fedina penale intonsa. Non è vero. Gli ideali e l’onestà sono la base per distinguere i buoni leader dai cialtroni che ci hanno ridotto in questo stato. Ma la politica è anche un mestiere con regole precise: l’attitudine all’ascolto, la conoscenza della materia trattata e delle procedure legislative, la capacità di giungere a una sintesi che in democrazia è quasi sempre un compromesso tra diversi egoismi, come ben sa chiunque abbia frequentato un’assemblea di condominio. Era così ai tempi di Pericle e delle lavagnette di creta. Lo rimarrà nell’era di Grillo e del web, con buona pace di chi pensa che la democrazia diretta possa abolire il filtro della rappresentanza. I rimpianti Cavour e De Gasperi non erano dilettanti o improvvisatori. Erano politici di professione, come lo è oggi un Obama. 

Il fatto che queste ovvietà suonino eretiche testimonia l’abisso di confusione in cui ci dibattiamo. La politica, se fatta bene, è una cosa dannatamente difficile e seria, specie in giorni come quelli che ci attendono, quando si tratterà di rimettere in piedi un Paese economicamente e moralmente allo stremo. Da cittadino di una democrazia malata sarei più sereno se a occuparsi dell’infermo fossero persone selezionate da un meccanismo che garantisse scelte autorevoli. E qui già vedo un ghigno profilarsi sul volto di Grillo: i partiti sono morti, incapaci di formare una classe dirigente. Ma allora bisogna immaginarne di nuovi, diversamente strutturati. Di certo il futuro non può essere affidato a miliardari e magistrati fai-da-te. Può anche darsi che la soluzione siano movimenti di persone perbene agglomerati dal web come i Cinque Stelle, ma dovranno risolvere l’intima contraddizione fra la trasparenza della base e l’oscurità della catena di comando. A cosa serve accendere una webcam in Parlamento se poi l’ufficio della Casaleggio & Associati, in cui si scrivono le regole e si decide la strategia, rimane ostinatamente al buio? 

Massimo Gramellini (La Stampa, 2 marzo 2013)

sabato 2 marzo 2013

Ha un nome che fa paura

E' morto a 95 a Roma, dov'era nato il 2 settembre 1917, il maestro Armando Trovajoli. Si è spento nella sua città qualche giorno fa, ma la notizia è stata resa pubblica dalla moglie Mariapaola solo oggi:
"Ho rispettato fino all'ultimo le volontà di un uomo schivo, che non amava presenzialismi, né applausi. Non voleva pubblicizzare la sua morte né i suoi funerali e voleva essere cremato. Solo ora che è stato fatto tutto posso dare la notizia", ha detto.

Insomma, le doti di base che dovrebbe avere un politico. E non parlo della cremazione.
Ciao Armando.


Quanto costa la baracca?

"La corruzione è ciò che ci fa vincere."


Riassumendo: se viene accusato prima, si vuole condizionare l'esito elettorale, se viene accusato dopo, si tenta di ribaltarlo.
Insomma, l'immaginifico è di fatto improcessabile. Non che si sia mai presentato in tribunale, intendiamoci, però si può dire che con quest'ultima vicenda, ci si avvicini a chiudere il cerchio del "noi non siamo perseguibili per legge", peraltro incitando il popolo ad una sorta di rivolta di piazza contro la magistratura. Mica un ponte o un'autostrada qualsiasi.
E quindi, dopo D'Alema (più tutti quelli che si sono succeduti) e il papa, Moretti c'ha di nuovo azzeccato. O meglio, speriamo che il popolo non sia così bue. Anche se alla fine so vent'anni che ci spero.

giovedì 28 febbraio 2013

Sondaggione

Scusate se ci torno su, ma periodicamente - diciamo ad ogni elezione - mi rendo conto che nella mia cerchia di amici e conoscenti stretti (un ipotetico gruppone con cui parlo abbastanza continuamente, che non credo vada oltre la quarantina di unità), non conosco uno che abbia votato per la coalizione seconda classificata.
Allora lo chiedo a voi, che girate per social network e avete centinaia di amici: va bene che dal 2008 6,3 milioni di persone sono riuscite a disintossicarsi, ma dei restanti drogati, ne conoscete qualcuno?
Così, a fini socioantropologici.

mercoledì 27 febbraio 2013

Ti diranno che

Mah, non credo c'entrino le elezioni. E' giusto un intervallo. Forse è perché mi devo sbriga a fa un figlio, mica so Briatore.

martedì 26 febbraio 2013

Nel fango affonda lo stivale dei maiali

E' che mi erano venute un sacco di considerazioni da fare, nella mezzoretta di ghiacciata pedalata notturna verso casa.
Poi, però, ho pensato che le stesse cose le troverete domani sui giornali, peraltro scritte molto meglio.
Allora, proprio nell'ultimo strappo (diciamo da Ponte Casilino) ho capito che c'era un'altra via - oltre alla lobotomia - per spiegare quel quasi 30% (il trenta per cento) di preferenze per il Pdl ("Lega e altri"): è stato un voto di protesta.

(Buon risveglio a tutti. E ve lo dico subito, non provateci nemmeno a fissare punti sui muri facendo lunghi sospiri. E' tutto vero).

domenica 24 febbraio 2013

Ci piace la fre'

Dopo una quintalata di molinara, antipasti vari e agnello con patate a chiudere, è sempre bello girare per i bar di paese alla ricerca della digestione.
Però, a volte, vien da pensare che il suffragio universale non sia stata poi 'sta così grande conquista:

- Gruppo di avventori sulla cinquantina: "J vote a Berlusconi pecchè gli piace la fregna!"
- Barista, trentacinquenne, piuttosto piacente: "Esatto!"

mercoledì 13 febbraio 2013

Mi serve un Polverizzatore Thompson (13)


- Visto che manca da un po' su queste pagine e considerando che non riesco più a linkare il titolo del post, ricordo a tutti che il nome di questa rubrica viene da qui.

- Ci aspetta una battaglia durissima, piena di colpi bassi e di scena. Ancora poche settimane per decidere se vincerà la furbizia, la strategia, la concretezza o l'eccentricità: chi si aggiudicherà mai il titolo di Masterchef (8 all'olio sulle foglioline di prezzemolo)?

- A proposito di magnà, l'immaginifico (1, alla vita) è ancora tra noi, più vivo che mai (beh, insomma) a raccontar di nuovo vecchie barzellette e a dire il contrario di quanto espresso poco prima senza il più minimo senso della misura, del rispetto e dell'educazione, riuscendo, lo ammetto, ad avvolgermi con un carico di tristezza che davvero, non ce la faccio più. Aiutatemi, aiutatemi a superare la paura verso quell'assurdo 20% e oltre di persone che ancora lo voteranno.

- Che poi, va bene Santoro, ma come si fa a dire che “ha vinto il duello televisivo” uno che ha ripetuto per tutta la trasmissione che il partito di maggioranza dovrebbe poter cambiare la costituzione?
Cioè, al netto di tutto l'immenso resto e pur avendo la folle intenzione di votarlo, penso a come sarebbe possibile farlo dopo quest'affermazione.

- E comunque il problema di Bersani è che c'ha lo stesso carisma e credibilità della Signora Coriandoli.

- In effetti, se la pensassi diversamente, avrei potuto difendermi da quel 20% con sole 50 euro. E' quanto sborsato da un cittadino di Villetta Barrea per aggiudicarsi l'offerta del Comune di Civitella Alfedena (voto 9 per l'americanismo spinto): l'unica pistola in dotazione al comando di polizia del paese. Magari ci compreranno un po' di cancelleria.

- “Non c'ho sordi manco ar Fantacalcio”. (Ivan, in attesa dell'asta di recupero)

- Ho scoperto Nell'anno del Signore (Luigi Magni, 1969), ma più che altro (lasciando come sempre fuori classifica la bella prigioniera claudia cardinale, minuto 4e40, se avete fretta) ho scoperto I carbonari di Armando Trovaioli). Non è stata una scoperta, invece, sentire i brividi nella versione di De Andrè.

- Appena il Pescara Calcio ne ha annunciato l'acquisto, non ho potuto fare a meno di pensare a quella volta che sognammo di scrivere Kroldrup a Scarabeo.

- Il fatto è che, alla fine, perlomeno dopo la Champions, uno se lo vedrebbe pure Sanremo per farsi due risate con gli amici. Poi però, quando ti sposti sulla Rai stanco delle ovvietà di Paolo Rossi su Sky Sport, vedi scendere le sorelle Parodi da una specie di scalinata semovente che pareva una mano di Freddy Krueger e allora, solo allora, ti chiedi: perchè?

- Svelato il volto de L'origine del mondo (sarebbe da far un voto disgiunto). Se mi dite pure chi era la Gioconda non vi parlo più, anzi, ci litigo a morte.

- Appena arrivata, via mail, parlando di Ingroia e redditometro: "Io sto perfetto, nin ting nu cazz". (Mono, filosofeggiando, voto 10)

- E poi, proprio mentre scrivo, leggo della morte di Gabriele Basilico. Uno che - in questo mondo di ciechi smemorati - insegnava a vedere senza giudicare. E via.

martedì 29 gennaio 2013

Eyes full of sorrow, never wet

Streets full of people, all alone
Roads full of houses, never home
A church full of singing, out of tune
Everyone's gone to the moon


Non so proprio su che genere andrò a parare, però state certi che, in un'altra vita, quando girerò un film, la scena madre sarà accompagnata da Everyone's gone to the moon, nella versione di Nina Simone & Piano (1969). A mio modesto parere, uno dei migliori album di sempre.
Fatevi due birre di meno e compratelo (oppure compratelo e bevetevi pure le due birre).
Ne varrà la pena.

martedì 22 gennaio 2013

Qualcuno, non loro

Non sono un tipo da compilation, neanche da playlist. E vi giuro che queste saranno le uniche due parole "non italiane" di questo post. Facciamo tre.
Sì, insomma, mi piace molto, a fine giornata, osservare la pila di cd (cazzo...) di fianco lo stereo, è come riguardarsi le immagini di una videocamera di sicurezza piazzata tra i neuroni.
Però, anni fa, in macchina, ne avevo un paio. Una era piuttosto improbabile, partiva da Elio, passava per Bowie e arrivava, in chiusura, al commento di Pizzul al gol di Del Piero contro il Messico, quando Bruno, nell'improvvisazione, riuscì a disegnare perfettamente il periodo di offuscamento del capitano bianconero: "il pallone ha un'infinita gamma di soluzione imprevedibili". Poi va beh, tornò al bar con Bulgarelli, ma il tartufo bianco era ormai servito.

Nella seconda, c'erano Dylan e Gaber, intervallati a darsi pacche sulle spalle a vicenda e contemporaneamente uniti nel costringermi ad aprire la più classica delle valigie piene di ricordi.
Credo fu la prima e unica volta, in età adulta, che piansi davanti a mia madre. E questa è una di quelle cose che non mi perdonerò mai. Insieme al fatto di non essere andato ai funerali dei miei nonni.
Ero alla guida, andavamo in montagna a raccattar salami lasciati stagionare in cantine altrui ed era un periodo, giorni direi, un po' così, di novità e partenze da una parte, di cose vecchie e arrivate dall'altra.
E quindi che ci volete fare, già mi commuovo quando muore Prima Base in Sorvegliato Speciale, figuriamoci cosa può succedere se sono io che ci sto lasciando la pelle.
Riuscii a trattenermi a stento sul penultimo pezzo (It's all right ma, I'm only bleeding) ma non potei alcunché sull'ultima traccia: così, su quel meraviglioso crescendo di storia e tamburi, indignazione e chitarre, la diga si crepò, tremò e poi crollò di fronte all'immagine dei due gabbiani ipotetici.

Tutto questo per dire che dopo pranzo mi son deciso a vedere e sentire Qualcuno era comunista, interpretata (ma son parole grosse) da Veltroni e Bertinotti (ottimo, invece, Paolo Rossi), all'interno della celebrazione officiata da Padre Fazio.
Un'esibizione che nel futuro potrebbe prestarsi ad una parodia della madonna, magari partendo dalla voce e dalla faccia dello stesso Veltroni: "qualcuno credeva di essere comunista e forse era qualcos'altro".

Così, adesso, l'unica cosa da fare è bere un tè e riascoltarsi l'originale, nella speranza di non perdere mai l'intenzione del volo.