giovedì 29 dicembre 2011

Un fiore in Bocca può servire sai

In effetti non è che il personaggio fosse da niente. Così vanno bene le critiche a quella sorta di incoerenza che non si sa mai quando devi dal "solo i cretini non cambiano mai idea".
Basta però che non me lo si faccia passare solo come un "alfiere dell'antiberlusconismo", visto che nei 74 anni precedenti erano già successe un paio di cosette. Accompagnate da milioni di parole scritte e poi dattiloscritte.

In ogni caso mi guardo bene da un'analisi sul personaggio, primo perché sono febbricitante e con la goduria della tosse secca trasformatasi in catarro da sputare, secondo perché non ne sarei in grado. E anzi, invertite pure i punti.
Certo, quando capitava sottomano un numero dell'Espresso, non mi lasciavo sfuggire mai L'antitaliano che, in definitiva, lasciava sempre qualcosa, pur con il livore che d'improvviso s'impadronisce dei vecchi.

Mancano i libri, lo confesso, con la scusa classica del "perché dovrei leggere Bocca se mi manca ancora Moby Dick".
Allora, amando alla follia i treni superlenti e pur non avendo mai provato l'ebrezza della cuccetta eclusivamente per mere ragioni economiche, ho cambiato idea stamattina, leggendo una citazione nell'articolo di Severgnini sul Corriere:

“Il brutto più brutto delle città lo si vede da un vagone letto, quando l’inserviente vi porta il caffè che sa di cicoria, fuori piove e il treno procede tra scambi e semafori per il retrobottega sudicio della città, quello che non appare dalle strade, ballatoi stipati di robe vecchie, coperti di teli di plastica, le pareti annerite, scrostate, le finestre opache a due metri dai binari, e dietro, invisibile, un’umanità logorata dai rumori rotolanti, dai sibili, da lugubri sirene, già stanca appena sveglia, in canottiera e vestaglia.”

martedì 6 dicembre 2011

Confessioni

Ci sono momenti in cui mi chiedo se il vedere qualcosa che vorrei non esistesse, in realtà contribuisca a far sì che quella cosa continui ad esistere. E probabilmente a proliferare.

Roba di calcoli statistici su accessi, uscite, frequenze di rimbalzo, tempo sul sito, sulla pagina e via dicendo.

Insomma, sono uno dei motivi per cui il Tgcom (direttore, ricordiamolo, Paolo Liguori), tra un paio di tette, una crisi economica, un culo e un efferato omicidio per gelosia, non ancora chiude i battenti:

La Tommasi spiega la sua scelta
Nella campagna contro il signoraggio bancario di Alfonso Luigi Marra sta mettendo tutta sé stessa. Prestando il proprio corpo per la causa. Sara Tommasi adesso è pronta anche a scendere in politica. Col sostegno del nuovo fidanzato, il conte Alessandro Verga Ruffoni Menon.

venerdì 2 dicembre 2011

Ve ne importa?

Ieri sera, prima dell'ennesima prova di solida maturità del Lokomotiv (pur priva del Mahatma Gandhi del calcio a 5) nella depressione carsica di Largo Preneste, ho ascoltato più volte Little yellow spider (in Niño Rojo - Devendra Banhart, 2004), giusto per tenermi buoni il signor Sole del mattino e la signora Luna solitaria.

Anche se mi sto rendendo conto che le righe qui sopra siano in realtà solo una scusa per dirvi con cosa ho iniziato la mattina, dopo colazione e cacca Samantinifera nel terriccio umido di pioggia dei giardini Nuccitelli-Persiani:
"but you don't really care for music, do you?"

martedì 22 novembre 2011

Proprio come una ragazzina

[preferireste dimenticare o ricordare per sempre?]

E' facile che la quercia sia ancora lì in quel giardino di Long Island. Insieme ad un baule infinito di altre cose.
Quarantasei anni fa, sotto quell'albero e senza dirlo a nessuno, eccezion fatta per celebrante e due testimoni, si diedero appuntamento quelli che per l'anagrafe erano Shirley Marlin Noznisky e Robert Allen Zimmerman.
E si sposarono.
Quel 22 novembre però, Shirley era già diventata Sara (il suo primo marito, il fotografo Hans Lownds, per qualche misterioso motivo, le disse che non avrebbe mai sposato una ragazza di nome Shirley) e Robert Allen aveva da tempo digerito Dylan Thomas.

Il matrimonio tra Sara Lownds e Bob Dylan fu tenuto nascosto a tutti, compresa l'allora fiamma di Dylan, la modella Edie Sedgwick che, appena appresa la notizia dalla stampa, andò a cercare quello che sarebbe dovuto ancora essere il suo uomo o qualcosa di simile: “Cazzo Bob, potevi almeno dedicarmi una canzone!”.

Nei giorni seguenti, (s)fortunatamente per Edie, Dylan la compose davvero.
E dal suo cilindro senza fondo, tirò fuori una delle più belle canzoni d'amore mai scritte.

lunedì 7 novembre 2011

Lo scettro posticcio

“Il suo pensiero non conta nulla. Gli italiani sanno che è una supermiliardaria e non è che la gente si lasci irretire da questi satrapi ricchi e viziati."

(Il genio di Carlo Giovanardi, parlando di Madonna, la cantante, intendo.)


Non che avessi avuto mai avuto dubbi. Dal ' 94 fino ad oggi, dico.
Però, per onestà - e beninteso, per assurdo - ogni tanto mi chiedevo se in fondo non stessi sbagliando io, con tutto questo accanimento verso un ricco maleducato.

Ovvio che poi, dopo un breve e rapidissimo sunto di questi anni, tutte le mie idee tornassero al loro posto, anche perché ogni giorno che passava veniva aggiunta una chicca (che so, costruire casinò e campi da golf a Lampedusa) alle consuete smentite e bugie da seconda elementare (la nipote di Mubarak, la famiglia Tarantini in difficoltà), alla serie infinita di figure di merda internazionali (il kapò, le corna durante la foto ufficiale, "mr obaaaaaamaaaaaaaa!", il cucù, "le doti da latin-lover", il baciamano al Colonnello e via dicendo, ben riassunte, anche se non tutte, qui) e soprattutto, alla nullafacenza politica, eccezion fatta per le innumerevoli leggi e leggine che, non me ne vogliano i relatori (Cirami, Maccanico, Gasparri, Cirielli, Pecorella, Alfano) potrebbero tranquillamente prendere il nome del beneficiario (o "dell'utilizzatore finale", se preferite) con accanto un numero cardinale crescente, a partire dal 2, visto che la numero uno (e qui viene da rimpiangere Paperon de Paperoni), è datata 20 ottobre 1984. Anche se forse nessuno si aspettava che dall'A-Team, Drive-in e Magnum P.I. si sarebbe arrivati alla miseria di cui siamo testimoni.

Insomma, nonostante tutto questo, vi dirò che alla fine, sarà per umana pietà di cui non mi vergogno, mi dispiace quasi vedere l'ultima, ennesima imbarazzante conferenza stampa a Cannes, piena di ribaditi concetti da adolescente (i ristoranti pieni) e bugie da Pierino (non leggo i giornali) e soprattutto di mancanza di fiducia verso se stesso, quella che i venditori come lui (che "volevano fare l'Italia come il Milan") in primis dovrebbero avere. E invece no, non più.

Adesso la spavalderia lascia spazio alla faccia stanca e agli occhi che guardano il tavolo, alla penna in mano che non ispira più cerchi e sottolineature del nulla, ai movimenti nervosi delle mani (sudate, ci scommetto) di chi non ha studiato, di chi non ha mai studiato, o meglio, ha letto l'introduzione, la quarta di copertina e le ripete da vent'anni. Al massimo cambiando l'ordine dei fattori. La proprietà commutativa.
E dev'essere davvero brutto ritrovarsi con la faccia di culo ormai definitivamente coperta da capelli finti e cerone di fronte ad una platea che ti pone domande. Senza che tu possa permetterti di (non) rispondere mimando un mitra che spara.

Pietà dicevo, come si fa a non provarla per un uomo abbandonato persino da Gabriella Carlucci?

domenica 30 ottobre 2011

So boni tutti

La notizia della settimana è sicuramente la presa di posizione di Keira Knightley sulla chirurgia estetica:
"No ai ritocchi, accettate il vostro corpo".

Soprattutto se sei una fregna, aggiungo io.

mercoledì 19 ottobre 2011

Incazzatos

Più o meno con la cadenza in cui la costellazione di Venere si allinea con le lune di Mercurio (ora, non cercate di sputtanarmi: è un'evidente supecazzola, tipo se vi dicessi delle parole come vicesindaco), decido di pulire la scrivania.

E come già successe tempo fa (con Lee Masters, post del 24 maggio 2010) ecco che tra un biglietto dell'autobus obliterato il 24 gennaio, tre accendini scarichi, un paio di etti di polvere, 5 puntine da disegno senza punte, biglietti da visita maltrattati di persone ormai sconosciute, innumerevoli monete da uno e due centesimi, plettri creduti perduti, appunti di cose da fare e cercare ovviamente mai fatte né cercate, batterie esaurite, bottiglia di Amarone di Bertani (vendemmia 2000, ahimè, vuota e digerita), vari mini contenitori/scatole/boccette che pensavo potessero servire e che non sono serviti ma che penso tuttora potranno servire in seguito, scontrini di colazioni nei bar, chiavi di serrature scomparse e via dicendo, è comparso anche un foglio che in realtà non ricordavo neanche di aver conservato.

Anzi, a questo punto ringrazio ufficialmente chi, tra gli innumerevoli ospiti della stanza verde oliva, lo ha dimenticato insieme a perizomi, peli e calzini sporchi:

Canzone dei rischi che si corrono
di Giovanni Raboni

Un'ossessione? Certo che lo è. 
Come potrebbe non ossessionarci 
la continua reiterazione 
degli stereotipi più osceni, 
l'alluvione di falsità e soprusi, 
la suprema pornografia 
dell'astuzia fatta oggetto di culto, 
della prepotenza fatta valore, 
della spudoratezza fatta icona? 
Andiamo a dormire pensandoci, 
ci svegliamo con questo fiele in bocca 
e c'è chi ha il coraggio di chiederci 
d'essere più pacati e costruttivi 
d'avere più distacco, più ironia... 
Sia detto, amici, una volta per tutte: 
a correre rischi non è soltanto 
la credibilità della nazione 
o l'incerta, dubitabile essenza 
che chiamiamo democrazia, 
qui in gioco c'è la storia che ci resta, 
il poco che manca da qui alla morte.

venerdì 30 settembre 2011

Prospettive

- Riccardo: "...uno arriva e ti chiede: cioè, tu che cazzo fai nella vita?"
- Roberto: "Io faccio tutto il giorno dopo."

martedì 27 settembre 2011

Ciao Rogggge'

Il fatto è che prima di tutto il resto, è quel minuto e trenta ad essere un capolavoro. Allora succede che per la milionesima volta nella vita mi ritrovo ad ascoltarlo e a spegnere la macchina sotto casa tenendo premuto il rewind dell'autoradio per rinnovare la magia.
Poi succede che non riesco a far lo stesso con gli ululati finali prima del vento, perché dopo

"And did you exchange
a walk on part in the war for a lead role in a cage?",


decido di aprire la portiera. Per andare a ricordarsi il sogno.

venerdì 16 settembre 2011

Fino al novantesimo

So già che qualcuno potrebbe obiettare e sostenere la candidatura di "aiutavo una famiglia in difficoltà" pronunciata, anzi, addirittura scritta di proprio pugno dal sempre più immaginifico mister B., invece, per il titolare della Festicciola (nonché unico giudice del concorso), la frase dell'estate è stata pronunciata il 14 agosto sulle gradinate dello Stadio Adriatico di Viale Pepe, quando il pareggio/doppietta di Insigne al 94' (che avrebbe portato i biancazzurri ai supplementari - min 0:55 - e successivamente ad un'infinita serie di rigori terminata 11-12) faceva capire ad un tipo sulla cinquantina - pantaloncino, infradito e petto nudo - e a noi tutti, peraltro vestiti allo stesso modo più o meno dieci gradini più su, che la cena in programma avrebbe subito quantomeno un clamoroso ritardo:

"Essé, a zumbat' le rusctelle!" 

martedì 9 agosto 2011

Al Bano suona il 14

Va beh, è lunedì. E nonostante l'agosto si torna presto. Non varrebbe la pena scriverne qualcosa. Tolto il liscio durante la rostella in piazza. A Cappelle sul Tavo.

Poi, verso casa, in una golf anni 80 (da cui, ricordiamo, non si esce vivi) suona Dente. Subito dopo un Cynar a chiudere. Allora lo butto qui (l'amaro vero ma leggero):

Ho messo le mani in tasca
ed ho sputato sulla tavola,
buon appetito amore mio.

venerdì 29 luglio 2011

La foto in una berretta

Si va. E mi vedo così, D'ä mê riva (in Crêuza de mä - Fabrizio De André, 1984).
Che dedico alle partenze e alle perdite, ai malumori e gli stomaci chiusi, ai letti insonni e ai messaggi notturni, ai peli e alle lingue, alla città sconosciute e ai vicoli amici, alle case vuote e alle stanze piene e semibuie, alle bottiglie ancora da aprire e alle sedie sui muri, alle strade in discesa sulle finestre dai cuori aperti, ai piedi bagnati e ai culi sudati, alle madri coraggiose e ai padri bambini, alle schiene alate, alle corde sfiorate e le canzoni sussurrate, ai brutti ciccioni, a chi cade e si rialza, ai bicchieri nelle vie, ai mobili impolverati, alla Biancazzurra e alla Brizzolata, ai nasi umidi, alle matite spuntate, alle foto mai scattate, ai tempi mai fermati.
A chi si sente perso e solo. Senza esserlo davvero mai. Già.


DALLA MIA RIVA

Dalla mia riva
solo il tuo fazzoletto chiaro
dalla mia riva
nella mia vita
il tuo sorriso amaro
nella mia vita
mi perdonerai il magone
ma ti penso contro sole
e so bene stai guardando il mare
un po' più al largo del dolore
e son qui affacciato
a questo baule da marinaio
e son qui a guardare
tre camicie di velluto
due coperte e il mandolino
e un calamaio di legno duro
e in una berretta nera
la tua foto da ragazza
per poter baciare ancora Genova
sulla tua bocca in naftalina.

lunedì 25 luglio 2011

Il punto di vista di dio

A seguito della tragedia norvegese, in uno sconcertante editoriale apparso domenica sulle pagine de Il Giornale, Magdi Cristiano Allam sostiene (male, a dir la verità) che "multiculturalismo e razzismo sono di fatto due facce della stessa medaglia".

Ora, a prescindere dall'aggravante di leggere queste cose sul quotidiano di proprietà del Presidente del Consiglio e non su di un foglio gratuito di propaganda estremista regalato fuori dalle università, c'è davvero da tirarsi pizzicotti (o cazzotti) per svegliarsi. Peccato di non stare realmente dormendo.

Leggere l'opposto di quello che l'uomo (o almeno quelli in cui la parte umana ha superato quella animalesca) ha iniziato a capire più o meno dall'invenzione delle navi o più semplicemente dall'idea del viaggio, mette addosso uno sconforto senza eguali:
va bene che lo specchio di chi dovrebbe dare il buon esempio è rotto da tempo, ma insomma, credevo che nessuno (tra i non animali di cui sopra) potesse mettere in discussione il fatto che è proprio nelle società monoculturali e chiuse che si sviluppano i più beceri germi del razzismo e dell'intolleranza.

Forse Allam non è mai stato in un asilo ultimamente, non ha amici con frugoletti piccoli che si lanciano aerei di carta con altri bimbi dai nomi impronunciabili, figli di mammaepapà cinesi/senegalesi/nigeriani/iraniani/albanesi/quellochevipare che parlano romano quasi meglio di Mario Brega.

Forse Allam non sa leggere la speranza nei gesti che sono all'ordine del giorno, come quello di Nura (l'ultimo di cui si ha notizia), ragazza pakistana che a Bologna ha tentato di uccidersi per fuggire da un matrimonio combinato.

Forse Allam non sa che sarebbe rimasto al Cairo se gli altri non "avessero anteposto l'amore per il prossimo alla salvaguardia dei legittimi interessi nazionali della popolazione autoctona".

Forse Allam, nell'incapacità di accettare la persona che è - come tutte - diversa da lui, non capisce di essere lui stesso un fondamentalista.

Forse Allam (è l'unica soluzione che mi viene in mente) ha comprato la laurea in sociologia: parla di multiculturalismo ma non sa manco cos'è.

E a quelli che portano il nome di tutti i battesimi non può venire altro che da piangere.

mercoledì 20 luglio 2011

Sono cose che dispiacciono, nella vita si può anche morire...

La crisi, in fondo, era stata drammatizzata dai media e soprattutto era “alle nostre spalle, per fortuna, l’Italia ne sta uscendo meglio di altri in Europa.” E poi cavolo, maledetti voi porta sfortuna, ottimisti bisogna essere, comprare, comprare anche senza soldi, così si rilancia un paese!

Non è che ci avessimo creduto, intendiamoci. Però, dicevano così questi mascalzoni.
Adesso, invece, il paragone è il Titanic. Con le scialuppe che non bastano. Anzi, bastano per loro.

Così, nel cazzeggio di letto notturno, ripenso a Gian Maria Volonté, meraviglioso rivoluzionario pentito che si trasforma in bandito. Per poi pentirsi di nuovo: 

“E tu non comprare pane con questo dinero! Hombre... compra dinamite! Dinamite!”
(Quien Sabe? - Damiano Damiani, 1976)

martedì 12 luglio 2011

Come quando gli uccelli se ne migrano

Caldo. E culo sudato. Suonano gli Smiths nel giallo della tenda. Samantina cerca terra e lingua in fresco. Poco fa c’era Jessica Biel, che ve lo dico a fare. No, non ho cambiato le lenzuola per lei, stamattina. Forse per la chitarra, ormai sempre più sola, insieme. La voglia. In mezzo a tante. Spaghetti col pomodoro fresco a pranzo. L’A-team di sottofondo, il film dico. Non male, così su due piedi. O su tre. Ero nudo? Chissà. Comunque ecco spiegata la presenza di Jessica Biel. Per il film, dico. Anche se l’essere senza vestiti avrebbe il suo senso. Di più. Parchetto deserto, solo balle di fieno a rotolare. Pare che il 5 luglio ci sia stata un’assemblea dei possessori di cani. I cani ascoltavano. Io non c’ero ma lo so. E la palla pelosa che un giorno girerà per casa si chiamerà Cane, Peter Falk capirà. “A San Lorenzo se dice che pe fregà du fratelli ce vojono du fiji de ‘na mignotta”, grazie Paolo, mi mancava. Mazzinghi, Klitschko, Spinks, Proietti (di Testaccio), Venturi (Enrico e Vittorio, di San Lorenzo). Ecco spiegato il “se dice”. Back to the old house. E che cazzo, mo li tolgo sti Smiths. Anche se il dito andrà su qualcosa di peggiore. “La verità non è sempre rivoluzionaria”, si diceva ieri sera, o meglio, lo dicevano a Lino Ventura nei panni dell’ispettore Rogas. Boh. A stento riesco a leggermi, figuriamoci la rivoluzione. Al limite la verità. Si dorme male. La temperatura come scusa. Sempre un discorso valido nei bar. Portatemi fuori allora. Va bene, quella birra non è pastorizzata. Sì, t’impegni e sul serio, davvero, mi dispiace non volerti sentire. Dammi solo quella cazzo di birra. Ah, ho passato il dito, Tom Waits.

lunedì 27 giugno 2011

Era meglio, altrove?

Se gli avesse detto "vieni" l'avrebbe seguita, dimenticandosi di tutto il male che gli aveva fatto. Sì, l'avrebbe perdonata. Si può odiare continuando ad amare. Era una cosa che non aveva mai capito, che non avrebbe capito mai.


Izzo è disarmante.
Come la disperazione che ti ficca dentro. Senza difese, come nei sogni. Né riscatto. Che non sia la speranza di un amore già finito.

E' terminato con Il sole dei morenti (Jean-Claude Izzo, 1999) il mio tipico periodo di blocco del lettore. Con un pianto trattenuto a stento seduto al 21A. Finestrino.

Con l'oceano stampato fisso negli occhi e il ricordo della risacca a rimboccare le coperte (con le ultime spiagge). Funziona così con Izzo. Almeno nelle parentesi di vita in cui si vorrebbe scrivere come lui. Con i dubbi sputati fuori da sentenze. E la sicurezza del ritrovarsi. Perduti. Sempre. Nel sentirsi dire cose che non si sapeva di sapere. Allora zitti.

Non rimane altro che prendere la matita mangiucchiata tra le labbra e sottolineare. Tipo l'ideale risposta al post di qualche tempo fa:

"Sai, la felicità ti fa sentire a casa."

Leggetelo.

domenica 19 giugno 2011

L'idea dell'amore

Certe donne non lasciano intendere se si interessano all'amore. Altre, invece, lo portano scritto sul viso.

(da L'uomo che amava le donne - Francois Truffaut, 1977)

Non è proprio la giornata giusta per scrivere recensioni, cioè, in realtà lo sarebbe. O almeno una volta era così. Ma non è che sia tutto così chiaro. Forse il momento giusto era ieri notte, pedalando attraverso posti che non ritroverò mai (è la bellezza dell'essere "bussola", d'altronde) e neanche mezza stella a punzecchiare il blu plumbeo del soffitto.

Senza contare poi che l'ho visto oggi pomeriggio su di un lenzuolo bollente già al quarto minuto, mica potevo scriverne un giorno prima.

Così mi basta dire che manca davvero tanto qualcuno capace di soffiare con così intima leggerezza.

Altro che 3d, thx, dolby digital surround EX, motion capture, full hd e amenità varie.

Insomma, se vi manca ancora, vedetelo.

martedì 7 giugno 2011

Voglio annegare

I passi delle onde che danzavano sul mare a piedi nudi
come un sogno di follie venduto all'asta

(Sfiorivano le viole - Rino Gaetano, 1976)


Mare, esterno giorno. Dopo aver recuperato da una serata particolarmente impegnativa, il giovane Cirello esordisce in spiaggia con un pallone da gonfiare sotto braccio.

- Ciz (facendo ciao da venti metri sulla sinistra): “Ciiiiiiiiiiiii!”

- Cirello (appena raggiunta, con i piedi gaudenti): “Ciao Ciz!”

[smack]

- Ciz (in sollievo): “Che fai?”
 
- Cirello (in astinenza): “E’ il mio primo giorno di mare serio.”

- Ciz (che di mare - e di me - ne sa): “Va bene, vai.”

Proseguendo verso est, adocchio quattro manzi pallidi sulla riva, in particolare il Barone e il Tenente che si scambiano palla di prima. Allora saluto al volo le lucertole e poggio tutto rapido sotto la 3b, mi involo, invoco palla e chiedo triangolo a La Signora che lo chiude preciso sul mio sinistro in corsa a giro con tuffo incorporato, troppo morbido per impensierire seriamente Chiodo, appostato dieci metri dentro l’acqua, che si allunga sulla destra e respinge facilmente.

E insomma, dopo un po’ di silenzio e visto che nel mondo non sta succedendo niente, mi sembrava una notizia interessante.

giovedì 12 maggio 2011

La ragione del viaggio

"Sono un uomo nuovo quando faccio ritorno a casa."
Jack Kerouac - Angeli di Desolazione, 1965

Dal nulla, a bordo della brizzolata in versione jazz, il capo della tribù dei nasi giganti buttò lì una domandina semplice semplice: “Dov’è che vi sentite a casa?”.
Stanco da tutto, diedi sì e no una mezza risposta senza costrutto alcuno e sono certo che anche dopo queste righe rimarrò con la faccia di chi cerca una fontanella zampillante acqua fresca fuori da un gelataio. Cosa che in un mondo perfetto dovrebbe esserci sempre. Ma sto tergiversando, per dirla con Pizzul.

Il fatto è che qualche tempo fa, mi sono sentito a casa sull’asse attrezzato (mica una tangenziale qualsiasi), quando, cantando (leggete: urlando semi ubriachi) Dillo alla luna (tra l'altro, mi sto convincendo sempre più che i capolavori si fanno con tre accordi) con un po’ degli amici di sempre, si è palesata la torre del comune accarezzata dal tramonto. E il fiume subito sotto. In attesa del mare.
Quindi, mi chiedo: la casa è dove si è cresciuti? Allora perché voglio sempre andar via da lì?

Cioè, per dire, l’altro giorno ho provato la medesima sensazione sul treno che da Jerez mi riportava verso la casa di quel periodo, con l’alba stavolta, al solito sempre diversa, che tagliava i vetri poggiandosi morbida su palpebre pesanti come quelle incudini che finivano in testa al maldestro Willy il coyote.

Così mi son detto che probabilmente una casa non c’è, non esiste. Mai. O sempre. Ed è quella verso cui si sta tornando. E che se non c’è viaggio non c’è casa. Perché non c’è ritorno. Come cantano sempre i vecchi bluesman. Sì, la vita è un lancinante blues.

In ogni caso, attendo di diventare grande, così capirò tutto.

sabato 30 aprile 2011

Previsioni

Ok, è una notizia vecchia. Quella della proposta di legge dell'onorevole (...) Carlucci per valutare l'imparzialità dei testi scolastici, dico. E non è che ci si voglia far del male a priori, però, in risposta a queste cialtronerie, la lettura del testo qui sotto riesce nel difficile compito di farti sentire orfano e meno solo insieme.

Gabriella Carlucci. Cioè, Gabriella Carlucci. Ma tu pensa.

Insomma, non chiedo siano tutti Pietro Calamandrei, però forse meritiamo qualcosa di meglio di un manipolo di labbra (diventate) gonfie acquistate dall'impresario. O di Mariastella "meritocrazia" Gelmini.

Era il 1950:

Ci siano pure scuole di partito o scuole di chiesa. Ma lo Stato le deve sorvegliare, le deve regolare; le deve tenere nei loro limiti e deve riuscire a far meglio di loro. La scuola di Stato, insomma, deve essere una garanzia, perché non si scivoli in quello che sarebbe la fine della scuola e forse la fine della democrazia e della libertà, cioè nella scuola di partito.

Come si fa a istituire in un paese la scuola di partito? Si può fare in due modi. Uno è quello del totalitarismo aperto, confessato. Lo abbiamo esperimentato, ahimè. Credo che tutti qui ve ne ricordiate, quantunque molta gente non se ne ricordi più. Lo abbiamo sperimentato sotto il fascismo. Tutte le scuole diventano scuole di Stato: la scuola privata non è più permessa, ma lo Stato diventa un partito e quindi tutte le scuole sono scuole di Stato, ma per questo sono anche scuole di partito. 

Ma c'è un'altra forma per arrivare a trasformare la scuola di Stato in scuola di partito o di setta. Il totalitarismo subdolo, indiretto, torpido, come certe polmoniti torpide che vengono senza febbre, ma che sono pericolosissime... 

Facciamo l'ipotesi, così astrattamente, che ci sia un partito al potere, un partito dominante, il quale però formalmente vuole rispettare la Costituzione, non la vuole violare in sostanza. Non vuol fare la marcia su Roma e trasformare l'aula in alloggiamento per i manipoli; ma vuol istituire, senza parere, una larvata dittatura. Allora, che cosa fare per impadronirsi delle scuole e per trasformare le scuole di Stato in scuole di partito? Si accorge che le scuole di Stato hanno il difetto di essere imparziali. C'è una certa resistenza; in quelle scuole c'è sempre, perfino sotto il fascismo c'è stata. Allora, il partito dominante segue un'altra strada (è tutta un'ipotesi teorica, intendiamoci). Comincia a trascurare le scuole pubbliche, a screditarle, ad impoverirle. Lascia che si anemizzino e comincia a favorire le scuole private. Non tutte le scuole private. Le scuole del suo partito, di quel partito. Ed allora tutte le cure cominciano ad andare a queste scuole private. Cure di denaro e di privilegi. Si comincia persino a consigliare i ragazzi ad andare a queste scuole, perché in fondo sono migliori si dice di quelle di Stato. 

E magari si danno dei premi, come ora vi dirò, o si propone di dare dei premi a quei cittadini che saranno disposti a mandare i loro figlioli invece che alle scuole pubbliche alle scuole private. A "quelle" scuole private. Gli esami sono più facili, si studia meno e si riesce meglio. Così la scuola privata diventa una scuola privilegiata. Il partito dominante, non potendo trasformare apertamente le scuole di Stato in scuole di partito, manda in malora le scuole di Stato per dare la prevalenza alle sue scuole private. Attenzione, amici, in questo convegno questo è il punto che bisogna discutere. Attenzione, questa è la ricetta. Bisogna tener d'occhio i cuochi di questa bassa cucina. L'operazione si fa in tre modi: ve l'ho già detto: rovinare le scuole di Stato. Lasciare che vadano in malora. Impoverire i loro bilanci. Ignorare i loro bisogni. Attenuare la sorveglianza e il controllo sulle scuole private. Non controllarne la serietà. Lasciare che vi insegnino insegnanti che non hanno i titoli minimi per insegnare. Lasciare che gli esami siano burlette. Dare alle scuole private denaro pubblico. Questo è il punto. Dare alle scuole private denaro pubblico."

(Pietro Calamandrei, III Congresso a difesa della scuola pubblica - Roma, 11 febbraio 1950)

martedì 5 aprile 2011

Proprio lei

Al rientro dopo un vuoto informativo di due giorni, accendo il computer e vengo subito investito dalle miserie di cui l’uomo è capace. E fare un elenco al volo (dodicenne partorisce in gita, il papà è il padre; proposta l’abolizione dell’articolo che vieta la riorganizzazione del disciolto partito fascista; otto anni di abusi su di un disabile, tredici arresti; Caterina Balivo: “Se vince il Napoli farò uno strip, ma elegante”; Giappone: iodio radioattivo in mare 7,5 milioni di volte oltre la norma; marito uccide moglie incinta e mostra il cadavere via web al padre; Emanuele Filiberto sbarca all’isola dei famosi; padre spara alla figlia pugile: non combatterà più) lascia addosso una colata di melma sconsolata.

Poi però, leggo le liste della felicità (ne parlavo qualche post fa) scelte da Saviano tra quelle inviate dai lettori e mi soffermo sul punto 8 di tal Andrea C.: una cosa semplice semplice (come dovrebbe essere la felicità) che, se si è vissuta almeno una volta, scuote a mani basse le oche in letargo sulla pelle. E leggerla - tra l’altro scritta esattamente come avrei fatto io - è, al solito, un’iniezione di consapevolezza che fa spuntare dalla schiena un paio di gigantesche ali supplementari:

“Svegliarsi la mattina, aprire gli occhi e scoprire che lei, proprio lei, ti stava già guardando.”

venerdì 1 aprile 2011

Speriamo sia un pesce

Uno degli infiniti amanti della primavera, mi segnala questa nuova iniziativa del nostro Giovanni detto Gianni. Ossia un motivo in più per farci prendere per il culo dagli spagnoli tutti e da qualsiasi abitante di ogni altra - cosiddetta - grande città.
Dalle 23, in primavera, con le donnine appena svestite, non si potrà più bere in mezzo alla strada. Iniziò tutto con il bicchiere di plastica, perchè il vetro è pericoloso e la gente si prende a bottigliate. Ora manco più quello.
Dalle 23.
Cioè, in pratica mi impediscono di uscire a bere fuori da un locale quando ancora non sono arrivato al locale.
Dalle 23.
Non ci posso credere.
Così si fa a cazzotti dentro i locali. Però è pericoloso fare a cazzotti, ci si può far male. Allora la prossima ordinanza potrebbe essere il divieto totale di biveri ma poi, giustamente, uno sarà ancora più incazzato e teso, senza manco una birretta defatigante. E potrebbe diventare pericoloso. Allora si provvederà a tagliare mani e braccia per evitare scazzottate. Poi anche i piedi. Per finire con la testa (ché anche le teste rompono nasi). Finire. Appunto.
Ma tu pensa, chi l'avrebbe mai detto che mi sarebbe toccato rimpiangere gli americani e le loro bottiglie foderate da buste per il pane.
Daje Alema', ce l'hai quasi fatta. Poi però ti toccherà un processo per omicidio.


Roma, 1 aprile – L’alcol sta diventando il problema numero uno delle notti romane, come dimostra il pestaggio di un ventunenne a Campo de’ Fiori domenica scorsa. Il Campidoglio prende contromisure e rilancia l’ordinanza anti-alcol in versione “hard”, con regole più severe rispetto agli anni scorsi: stavolta lo stop non riguarda solo la vendita ma anche il consumo su aree pubbliche. In altri termini, dal 1° aprile fino al 30 giugno, movida sì ma sobria: chi si attacca alla bottiglia o alla lattina sulla pubblica via è passibile di multa.

Il sindaco Gianni Alemanno ha predisposto un’ordinanza, in vigore dal 1° aprile al 30 giugno, che impone, nelle zone di Roma dove si fanno le ore piccole, due divieti: per chi gestisce i locali, divieto di vendita e somministrazione di alcolici “per l’asporto o il consumo al di fuori del locale e delle relative superfici attrezzate, pubbliche o private, di pertinenza del locale medesimo”, dalle 23 fino alla chiusura degli esercizi.


Come detto, poi, per i clienti c’è il divieto di consumare alcolici “nelle strade pubbliche o aperte al pubblico transito”, dalle 23 alle 6 del mattino.


L’ordinanza indica nel dettaglio, strada per strada, le zone su cui si applica la nuova disciplina: centro storico, Trastevere, Testaccio, Monti, San Lorenzo-Tiburtina-piazza Bologna, Pigneto e Torpignattara, Ostiense-Circonvallazione Ostiense-Garbatella, Saxa Rubra-Prima Porta-Giustiniana, Ponte Milvio e Farnesina.


Il Sindaco ha trasmesso l’ordinanza al Prefetto con una lettera in cui chiede, per tutelare al meglio la sicurezza dei cittadini nelle ore della movida, il rilancio del coordinamento tra Campidoglio e forze dell’ordine e l’intensificazione dei controlli.

domenica 27 marzo 2011

Fammene un'altra

Come i bevitori di birra sanno bene, una volta aperto il rubinetto (nel senso di pisciare), la frequenza con cui tornerai al cesso aumenta esponenzialmente ad ogni successivo sorso.

E insomma, andarci più e più volte, permette di notare dettagli sfuggiti durante visite occasionali.
Tipo questa frase ineccepibile, nello stile e chiarezza d'esposizione, scritta a penna sul dispenser della carta igienica, da Sante, lì al Pratello.
E che non vedi l'ora di raccontare a chi ti aspetta assetato al bancone:

"Sto facendo uno stronzo bestiale."

martedì 22 marzo 2011

Misanderstending

Come ogni tanto accade, stamattina, a fine allenamento, mi sono un po' attardato a parlare con il re dell'aneddoto Paolo, di quando ci si ferma ore sul tubo a cercare vecchi incontri (le due sfide Monzon-Briscoe, in questo caso) nei nostri momenti di solitario delirio casalingo,

Questo per dire che, rientrato negli spogliatoi (dopo un - fortunatamente - infondato allarme acqua fredda), il pavimento era già pieno di panni saporiti, il sudore amalgamato al vapore delle docce e la conversazione, va da sè, entrata da tempo nel vivo:

- "...E mica l'ho capito che devono fa 'sti ammericani, prima dice arivamo, poi nun se ne fa niente..."

- "Si c'hanno messo becco, sicuro ce sta da magnà."
 

- "Eccerto, si nun ce sta da guadagnacce quarcosa, figurate se movono er culo."
 

- "La situazione è quella che è, però, fidate, comarsolito nun ce stanno a dì tutto."

E insomma, a breve mi sarei aspettato una battuta sul colonnello, sul baciamano o su "stibbastardidemmerda". Invece, proprio mentre stavo per inserirmi con una mia personalissima banalità, ecco che il dialogo si svelava nella sua vera essenza:

- "Eppoi dice che l'anno prossimo se ne va pure Mexes!"

mercoledì 16 marzo 2011

Ne vale la pena

Roberto Saviano lancia il sasso con la mano bene in vista e propone una delle sue liste, elenchi o come cavolo vi pare, che sì  (oltre ad aver già rotto le palle), lasciano il tempo che trovano ma in qualche modo costringono a misurarsi con una scelta particolarmente difficile in questi tempi, dove si fa a gara per accumulare o sostituire senza motivo cose che si hanno già.

Ora, tra qualche giorno, forse (o più probabilmente mai), indicherò le mie dieci cose per cui valga la pena vivere, o meglio, potrei aggiungerne nove, visto che quella che sto per dirvi è successa poco fa, entrando prepotentemente in una classifica che ancora non esiste:

- Avere un amico che chiama alle 19e20 e dice: "Mi faresti un favore? Siccome sto andando a cena con i colleghi di lavoro, potresti richiamarmi verso le nove e mezza per ricordarmi di non ubriacarmi?"

martedì 15 marzo 2011

In da club

Sarà che la cara Mau, al tempo, mi omaggiò della tessera n°1, però inizio ad aver voglia di un Club del giovedì, con il caro e vecchio branco di supergiovani e una buona scorta di bottiglie.

[Ora, so che non c'entra granché, però "buona scorta", nella mia testa malata, ha fatto venire in mente questo dialogo (da Rambo - Ted Kotcheff, 1982):

- Sceriffo Teasle: "E vorrebbe dirmi che duecento uomini contro il suo Marine sono nella posizione di non poter vincere?"
- Colonnello Trautman: "Se ci manda tanti uomini non dimentichi una cosa."
- Sceriffo Teasle: "Che cosa?"
- Trautman: "Una buona scorta di barelle."]


Poi ad esempio, si potrebbe dire che in una situazione del genere, al club non ci sarebbe tutta 'sta calma intorno a Dylan, a meno che non siano le 5 del mattino con un goccio di Lucano da finire e l'ultima cazzata da modellare.

Però Pino, Peppe, Joe Santiago per il grande pubblico e Johnny Cash (anzi, levate pure il cognome) per i tesserati, con quella faccia fuori dal tempo, suona pure meglio di Dylan.
Ora gli (ci) mancano solo dei testi come questo. Che poi altro non è che il pezzo con cui mi sono svegliato e che no, proprio non se ne va:


LOVE MINUS ZERO/NO LIMIT
 

My love she speaks like silence,
Without ideals or violence,
She doesn't have to say she's faithful,
Yet she's true, like ice, like fire.
People carry roses,
Make promises by the hours,
My love she laughs like the flowers,
Valentines can't buy her.

In the dime stores and bus stations,
People talk of situations,
Read books, repeat quotations,
Draw conclusions on the wall.
Some speak of the future,
My love she speaks softly,
She knows there's no success like failure
And that failure's no success at all.

The cloak and dagger dangles,
Madams light the candles.
In ceremonies of the horsemen,
Even the pawn must hold a grudge.
Statues made of match sticks,
Crumble into one another,
My love winks, she does not bother,
She knows too much to argue or to judge.

The bridge at midnight trembles,
The country doctor rambles,
Bankers' nieces seek perfection,
Expecting all the gifts that wise men bring.
The wind howls like a hammer,
The night blows cold and rainy,
My love she's like some raven
At my window with a broken wing.

lunedì 28 febbraio 2011

Piedi nudi

Gli occhi spalancati e fissi riflettevano passivamente il mare e il cielo. Tra poco tutti sarebbero tornati a casa a bere una tazza di tè in famiglia sulla tavola della sala da pranzo. Per il momento volevano vivere con il minimo di spesa, economizzare i gesti, le parole, i pensieri, fare il morto: non avevano che un solo giorno per cancellare le rughe, le zampe d'oca, le pieghe amare che fa il lavoro della settimana.
Un solo giorno. Si sentivano scorrere i minuti tra le dita, avrebbero avuto il tempo d'ammassare abbastanza giovinezza per ricominciare da capo lunedì mattina?
Respiravano a pieni polmoni perché l'aria del mare vivifica: soltanto i loro respiri, regolari e profondi come quelli dei dormienti, testimoniavano ancora della loro vita. Camminavo in punta dei piedi, non sapevo cosa fare del mio corpo duro e fresco in mezzo a questa folla tragica che si riposava.
Il mare adesso era color ardesia, saliva lentamente.

(da La nausea - Jean-Paul Sartre, 1938)

sabato 26 febbraio 2011

Con dovuta proprietà

Ché poi uno tende sempre a farsi un sacco di pippe (a parte l'utilità del senso letterale, dico) e pensare che no, anzi sì, forse una volta era così, però vedi com'è diverso, adesso. Col sole. La notte e il casino che passa sotto su Collins Avenue. I gatti neri con le zampe, la zampa, bianca. E il vodka martini. In the Easy Keysy.
Salvo poi arrivare sempre alla solita, falsa distratta fastidiosa e presuntuosa conclusione. Fossi almeno pago del mio gioco.

domenica 20 febbraio 2011

E' un'idea come un'altra

Un sacco di cose da dire senza voglia di farlo.
Non sapere come iniziare né come finire.
Un vicolo cieco con uno specchio appeso in fondo.
Con gli infradito pronti.
Sempre più draghi.
Sempre meno principesse.

giovedì 3 febbraio 2011

Rilassante

- Charlie Brown: "Sai una cosa?"

- Lucy: "Cosa?"

- CB: "Sono giunto alla conclusione che non c'è niente di peggio del non essere amati..."

- L: "E lo smarrirsi nei boschi? Penso sia molto peggio!"

- CB: "Be', il paragone non mi sembra troppo calzante, e non sono sicuro che..."

- L: "Oh davvero? Lascia che te lo dimostri... (Lucy spinge Charlie Brown tra gli alberi) Ecco! Mettiti là per un po', in mezzo a quegli alberi, e capirai cosa intendo..."

(CB è immobile mentre arriva Linus)

- Linus: "Si può sapere cosa diavolo stai facendo lì?"

- CB: "Possono dire quello che vogliono, ma non c'è paragone... è assai peggio non essere amati che smarrirsi tra i boschi."

- Linus (andando via): "A volte penso che tu ti sia smarrito nei boschi da tutta una vita, Charlie Brown..."

- CB (ancora immobile): "Anzi, per la verità lo trovo piuttosto rilassante."

mercoledì 2 febbraio 2011

Punti di vista

Scartata questa, se mai metterò una foto sul comodino, sarà di Roberto Formigoni:

"Ma chi ha detto che ci sono state queste feste? Finora abbiamo sentito soltanto l'accusa."

venerdì 21 gennaio 2011

Al miglior fabbro

Una donna tirò tesi i suoi lunghi capelli neri
E arpeggiò musica di bisbigli su quelle corde
E pipistrelli con facce di bambini nella luce viola
Fischiarono e batterono le ali
E strisciarono a testa in giù lungo un muro annerito
E rovesciate nell'aria c'erano torri
Risuonanti campane rievocatrici, che segnavano le ore

E voci cantanti dal fondo di vuote cisterne e di pozzi esauriti.

(da La terra desolata - T.S. Eliot, 1922)

lunedì 17 gennaio 2011

La prima pagina del decennio

Generalmente, come sapete, carico solo immagini "mie", allora perdonatemi se stavolta non ho resistito. E beh, che dire, solo ringraziare di cuore la redazione tutta.

sabato 15 gennaio 2011

"Faccio amore lungo lungo"

"E' mai possibile o porco di un cane
che le avventure in codesto reame
debban risolversi tutte con grandi puttane,

anche sul prezzo c'è poi da ridire
ben mi ricordo che pria di partire
c'eran tariffe inferiori alle tremila lire."

(da Carlo Martello ritorna dalla battaglia di Poitiers - Fabrizio De Andrè, 1963)

Visto che nel post precedente si è andati come al solito fuori tema (o off topic, come dicono quelli che ne sanno) e che tempo prima (post del 29 novembre) avevo scritto che "il governo italiano è morto a seguito di una cubista minorenne", copio e incollo quest'articolo di Michele Brambilla de La Stampa, che senza giri di parole spiega quello che ci attende, tristemente, con rinnovata rassegnazione e bruciori di culo:

 

Berlusconi indagato: dov’è la novità? Sono anni che è indagato e sono anni che le inchieste e i processi contro di lui non spostano un voto perché ormai gli italiani sono tutti preventivamente schierati.

E non cambiano idea neanche se gli si punta contro una pistola. Chi detesta Berlusconi sostiene che tutti questi processi dimostrano la sua inadeguatezza, per non dire di peggio, a governare. Chi lo ama è convinto che si tratti di una congiura ordita dalle toghe rosse. Insomma l’opinione su Berlusconi è fideistica nel bene e nel male, gli italiani reagiscono «a prescindere» dalla sostanza dei fatti. Dovremmo dunque pensare che anche questa volta la tempesta giudiziaria non porterà nulla di nuovo né a Palazzo, né nell’opinione pubblica. Eppure, eppure. Adesso una novità sembra esserci. Forse addirittura una novità decisiva (in un senso o nell’altro, poi vedremo perché). La novità è la straripante sicurezza ostentata dalla Procura di Milano.


Mai si era visto un comunicato, letto dal capo dell’ufficio, così dettagliato. Mai si erano annunciate prove documentali inconfutabili (si parla perfino di foto e di filmati). Mai ci si era spinti ad allegare queste presunte prove all’invito a comparire inviato all’indagato: è come se i pm fossero sicuri che tanto ormai non c’è più nulla da «inquinare». Mai, soprattutto, una Procura si era spinta a chiedere per Berlusconi il rito immediato. Ai non addetti ai lavori va spiegato che una Procura chiede il rito immediato quando ritiene che le prove siano evidenti e definitive, e che non ci sia bisogno di altre indagini o interrogatori.


Forse è davvero una svolta, perché i casi sono due. O la Procura di Milano non ha le prove documentali che ieri ha fatto intendere di avere, oppure ce le ha davvero. Nel primo caso, non soltanto il premier verrebbe assolto con l’aureola del martire, ma i pm in questione dovrebbero cambiare mestiere e calerebbe una pietra tombale su tutta la cosiddetta «via giudiziaria» usata, secondo i berlusconiani, per sconfiggere il nemico della sinistra. Nel secondo caso, Berlusconi sarebbe invece in difficoltà come mai è stato prima.


Perché siamo così tranchant? Per due motivi. Il primo è che in tutti i precedenti processi l’impianto accusatorio era tale da lasciare lo spazio - ai fan pro o contro Berlusconi - per assumere comunque una posizione colpevolista o innocentista. Una posizione, beninteso, ideologica, non fondata sulla conoscenza delle carte (figuriamoci se gli elettori leggono tutte le carte di un processo). Adesso invece la Procura parla di una «pistola fumante», e quella o c’è o non c’è. Se c’è, anche i berlusconiani più inossidabili non potranno negare l’evidenza del reato. Se non c’è, anche gli anti-berlusconiani più accaniti non potranno negare che la Procura, annunciando prove schiaccianti che non ci sono, ha commesso una grave ingiustizia e alimentato sospetti di una manovra politica.


Il secondo motivo è forse ancora più forte. Senza nulla togliere ovviamente alla gravità di altri reati contestati a Berlusconi, come la corruzione o la frode fiscale, non c’è dubbio che da un certo punto di vista ciò che gli viene contestato adesso colpisce ancora di più l’opinione pubblica. È inutile che qualcuno dica che nella propria camera da letto ciascuno può fare ciò che vuole. Un presidente del Consiglio non è un «ciascuno» qualsiasi, e se organizza feste con escort in vari palazzi, è diverso che se le organizza il signor Pincopallino. Se poi a queste feste fa sesso a pagamento con minorenni (è un reato) e poi telefona alla questura per far liberare una di queste, arrestata per furto, e la spaccia per nipote di un altro capo di Stato estero, allora è ancora più diverso.


Gli italiani si sono assuefatti a certi costumi sessuali? Fino a un certo punto. E poi, potrebbero i centristi appoggiare il governo in cambio di una politica di sostegno alla famiglia, se saltassero fuori certe foto e certi filmati? E la Chiesa, che cosa direbbe la Chiesa? Ci sarebbero ancora monsignori a discettare sul dovere di «contestualizzare»? Accuse del genere, se fossero provate, non sarebbero gossip ma questioni politiche gravi. Vista dall’altra parte, se accuse tanto scabrose si rivelassero infondate o anche solo non dimostrabili, sulla Procura di Milano cadrebbe la colpa di un inaudito colpo basso.


Ecco perché, forse, questa potrebbe essere la madre di tutte le inchieste su Berlusconi. In un senso o nell’altro, potrebbe essere la parola fine a una guerra che da più di quindici anni condiziona la politica italiana, rallentandone quando non paralizzandone l’attività. Più che un’ipotesi è una speranza, perché - lo ripetiamo per l’ennesima volta - il Paese ha altre necessità che non quella di avere un premier impegnato più a duellare con la magistratura che a governare.

venerdì 14 gennaio 2011

Bocciati

Chissà, forse avrei fatto miglior figura io in un petto a petto con Stephen Hawking a parlare di buchi neri, in ogni caso è stato particolarmente significativo vedere – e soprattutto sentire (qui e qui) – gli avvocati Roberto Cota e Mariastella Gelmini a lezione (di diritto e molte altre cose) dal professor Stefano Rodotà.

giovedì 13 gennaio 2011

Proclami da bancone

- Cirello: "Nel 2011 spero in una svolta."
- Manetta: "I tossici svoltano, Cirè."

Una vodka e una tequila erano già in attesa.

martedì 11 gennaio 2011

Una storia vera

In un primo momento avrei voluto scrivere di Shutter Island (finalmente visto ieri sera) e del fatto che Scorsese non mi emoziona più. Che è dal meraviglioso equilibrio di Casino (probabilmente il miglior film degli anni 90) che il buon vecchio Marcantonio Luciano non riesce a scaricare ventricoli e fegato sulla pellicola. Troppo perfetto, anche se non ancora freddo e calcolatore come Spielberg. Però è sempre magnifico vederlo muoversi tra la sceneggiatura e gli attori, andrei in sala nudo (se solo la smettessero con sta cazzo di aria condizionata ghiacciata) per vedere sempre questa qualità. Ma insomma, avrei voluto parlare di questo, dicevo. E invece no. Perché Scorsese - viva Scorsese! - ti fa venire voglia di andare al cinema.
E in questi giorni c’è Eastwood, ad esempio.

Allora controllo, apro giornale e siti per cercare l’orario, appurarmi - al solito - che sia proiettato in lingua originale e una volta sicuro, per evitare le fregature già sul groppone, di quelle che

si declina ogni responsabilità per variazioni di programmazione e orari non comunicati,

concludere con una telefonata in via del Corso, giusto per fugare ogni dubbio.

Perché io e il Metropolitan (al limite insieme a qualche coppia di lingua inglese nelle ultime file) ci siamo voluti bene in quei pomeriggi solitari, quando ci abbracciavamo su quelle calde, comodissime e attraenti poltrone blu notte (superiori a quelle, color ruggine, della sala Volpi di Venezia, che dormite durante de Oliveira!) che guardavano dall’alto l’unicità di quella barra poggia piedi, fedele amica non solo delle mosche da bar.

E’ vero che dopo il caffè ci ritrovavamo sempre in pochi, però a volte, almeno di sera, immaginavo, povero illuso, che la cricca di emo appollaiati sugli scalini di Santa Maria dei Miracoli o le moltitudini che affollano Messaggeri Musicali per un autografo di Marco Carta, potessero riempirlo di tanto in tanto. E invece, evidentemente, non accadeva.

Ok, ne ero a conoscenza. Avevo firmato quello scudo di carta che sono le petizioni on line ma non pensavo potesse accadere così in fretta. La morte, dico.

Poi è successo, lo scorso 29 dicembre.

Il Metropolitan non c'è più. O meglio, non respira. Allora scorrono (eccome se scorrono) quei pomeriggi in cui entravi con la luce e ne uscivi col buio, incontrando, con un po’ di fortuna, il sassofonista di Piazza del Popolo, magari con in testa il lascito delirante di Lynch. Scott, Eastwood, Coppola (che trip il redux di Apocalypse) dove vi andrò a scovare adesso?

Amaro. Sento parecchio amaro in tutto questo. Violento come lo zucchero.

Così, a pensarci, a poter scegliere il sipario della chiusura, verso la quale poco si può con gli scudi di carta di cui sopra, avrei preferito una cosa tipo Blade Runner, Otto e mezzo. O L’Appartamento.

E invece il mio addio è stato The Social Network. Bello sì. Ma va beh.

martedì 4 gennaio 2011

La gente era ancora lì

E’ vero che la necessità di festeggiare il capodanno m’è sempre stata sulle palle, com’è vero anche che il periodo in sé m’ha sempre messo addosso una tristezza infinita, a volte persino superiore a quella del carnevale.
Il tutto elevato alla potenza da 'ste diavolo di decorazioni e luci sparse per la vie che non fanno altro che togliere senso alla notte. Al suo cielo. E a far ingelosire i lampioni. Meno male che i Babbi Natale arrampicatori, almeno da queste parti, siano stati quasi totalmente sterminati.

Detto questo, confesso che a capodanno generalmente mi diverto. Malinconicamente. Da anni. Dalle uniche due sigarette della vita (Marlboro Lights) fumate nel paleozoico dentro la discoteca Jambo di Roccaraso fino all’only for the millenium party di NYC, dalla notte in solitaria passata su Italia Uno di fronte ad un castissimo speciale playboy a quando andammo fuori controllo in casa Sgalder con l’effetto di arrivare a stento attivi alla mezzanotte per poi cercare di rimediare con un surreale gioco dei mimi prima e un dinamico nascondino dopo, dalla notte sotto al Circeo in una tenda stracolma di coperte e tempestata da pioggia e vento fino alla puffetta Claudette, solerte e gratuita rifornitrice di alcolici dentro Tipografia, dalla stella strappata alla morte su di un albero in Piazza del Campo (tuttora appesa in stanza di fianco a Trevis Bikle) ad un’improbabile quanto terribile cena messicana in zona Ostiense.

Giorni fa non è stato da meno, con un Vulcan che prima dell’inevitabile schianto ti spinge ad uscire per mettere a ferro e fuoco zona Flaiano/D’annunzio, tra risse di fronte al Lalla by Wahlalla (ebbene sì), portafoglio rubato - scena top, manco Buster Keaton - al buttafuori del Baba (l'ex Toki, per capirci...), boccia di whisky giapponese arrivata verso le 2 e terminata come da pronostico alle 228, fino alla bottiglia di tequila condivisa (l'ultima di una lunga serie) da un Manetta in formissima, deciso a far tornare il bancone a ormai sopiti splendori. Che per i non ferrati, vuol dire offrire tutto ad oltranza.

E insomma, dopo un classico Califano, l’ultimo cicchetto, intorno alle 7 (prima di un magnifico ritorno in taxi verso i colli), a sorpresa, è arrivato strillando “Ve lo troverò!”. Che auguro a tutti. A patto che - lo spero proprio - abbiate qualcosa da cercare.