martedì 31 luglio 2007

Michelangelo

In chat su skype, poco fa. Requiescat.

rbbll: "che cazzo è morto pure michelangelo! ecchecazzo!

cy: "già, è fico che so morti insieme"

rbbll: "ho appena finito di leggere i coccodrilli su bergman"

cy: "sto matto pare pure che sia spirato in scioltezza sulla poltrona di casa.."

rbbll: "si ma adesso mi sento veramente solo"

cy: "prima o poi si deve morì, ma chi ci manca? non so, monicelli non è antonioni"

rbbll: "mi sa che sono finiti"

cy: "mi sa che era l'ultimo. organizziamo un mega orgione nel deserto in memoria, chiamo pure jerry garcia con la chitarra"

rbbll: "poi sul piu bello comincia a sgorgare acqua pura dalla fontana della vergine"

cy: "e tutti che prendono a giocare a tennis senza palla"

rbbll: "attenzione, maratona antonioni su raitre"

cy: "uuuuuuh"

rbbll: "alle 21 zab point"

cy: "esploderò insieme alla casa"

Ingmar Bergman

- "E' lunedì mattina presto...e sto soffrendo."

(Sussurri e grida, 1973)

- "Il volto umano: nessuno lo ritrae così da vicino come Bergman."

(François Truffaut, dalla recensione di Sussurri e grida)

sabato 28 luglio 2007

L'importanza di chiamarsi C

Ok, va bene:
non si dice cagare, si dice cacare;
non fregare ma frecare;
non figa ma fica.

Viva la fica dunque.

mercoledì 25 luglio 2007

Chiudere gli occhi

E io gli chiesi perchè prima teneva gli occhi chiusi mentre lo guardavo e le donne parlavano. Subito li richiuse, d'istinto, e negò di averlo fatto. Mi misi a ridere e gli dissi che facevo anch'io questo gioco quand'ero ragazzo - così vedevo solamente le cose che volevo e quando poi riaprivo gli occhi mi divertivo a ritrovare le cose com'erano.

(La luna e i falò - Cesare Pavese, 1950)

martedì 24 luglio 2007

Vinceremo(?)

In un altro paese, (ma non si poteva scegliere un altro tono per la voce-off?) documentario di Marco Turco ispirato dal libro di Alexander Stille Cadaveri eccellenti, è andato finalmente in onda ieri sera alle 21, su RaiTre naturalmente. 92 minuti per spiegare e ripercorrere la storia della mafia dalla fine degli anni 70 ai giorni nostri.
Se non avete avuto la possibilità di vederlo, per favore, rimediate.
Filmati inediti persino al titolare della Festicciola, ormai avvezzo da anni a produzioni, indagini e ricostruzioni di questo genere. E poi lei, l’immensa Letizia Battaglia, il Virgilio di Stille per le strade di Palermo:

- “Anche in via D’Amelio arrivai come al solito di corsa con la mia vespa, c’erano brandelli di corpi ovunque, braccia da una parte e gambe dall’altra, e io…io non fotografai.”

E anche alla millesima visione, fa sempre un effetto che non riesco a descrivere, un magone che non perde energia, vedere Antonino Caponnetto (fondatore del pool antimafia di Palermo dopo l’omicidio di Rocco Chinnici) in quella via, mentre sale in macchina subito dopo la visione della strage:

- “E’ tutto finito.”

Le mani rugose stringono l’avambraccio del giornalista proprio sotto al microfono, cercando tremolanti un appiglio.

- ”Perché è tutto finito giudice Caponnetto?"

Il volto timido e austero, forse per la prima volta rassegnato, entra in macchina lentamente, in bilico tra la voglia di accasciarsi e quella di andar via, ma le mani non si staccano da quel microfono continuando a tremare, percorse da una scossa quasi mortale.

- ”E' tutto finito.”

Anche le labbra sono scosse, gli occhi vuoti dietro le lenti, fissi verso il giornalista fuori campo.

- ”Perché è tutto finito giudice Caponnetto?"

E’ come se non ci fosse più fiato, come se il cuore smettesse di pompare per qualche secondo.

- ”Perché…”

Il sorriso di Falcone, quasi troppo cinematografico per sembrare vero. Troppo distante dai volti che sono abituato a vedere, la dolcezza di chi convive con la paura, i denti in mostra ad ogni sospiro, ad ogni finire di frase.
E la nuova classe dirigente a braccetto con la vecchia, per dio, Andreotti è lì dalla Costituente e ancora decide le sorti del governo e ci vorrebbe un post a parte per descrivere le malefatte di ques’uomo intervistato subito dopo l'omicidio del suo compare Salvo Lima: "Un uomo leale, di grandi qualità...", maledetto ghigno dalle grandi orecchie.

(il corsivo che segue potete leggerlo o non leggerlo, scusate ma non avevo voglia di lasciar passare impunemente il nome di Giulio, altrimenti saltate il corsivo e proseguite)

La sentenza d'appello di Palermo del 2 maggio 2003 a carico di Giulio Andreotti dovrà entrare nella storia dei media e del giornalismo. Assolto, hanno scritto tutti giornali, hanno detto tutti i telegiornali. Restituito l'onore al leader democristiano e alla Dc, hanno commentato festosi Pierferdinando Casini e tanti altri ex democristiani.

Giulio Andreotti aveva nel processo palermitano due capi d'imputazione. Il «capo a»: associazione a delinquere per aver avuto rapporti, incontri e contatti con i boss di Cosa nostra pre-corleonesi, con la mafia di Stefano Bontate e Tano Badalamenti. Il «capo b»: associazione a delinquere di stampo mafioso per aver avuto rapporti, incontri e contatti con la mafia «vincente» di Totò Riina, dopo che i corleonesi avevano fatto fuori a colpi di kalashnikov Bontate e centinaia di mafiosi delle cosiddette «famiglie perdenti».

Il «capo a» si riferisce a fatti fino al 1980. In quell'anno Bontate viene ucciso e il suo posto viene preso da Riina. L'accusa è di associazione a delinquere "semplice", perché ancora non era stato introdotto il reato di associazione a delinquere di stampo mafioso, che sarà varato nel 1982.

Il presidente Scaduti l'ha detto chiaro e tondo, e tutte le televisioni l'hanno trasmesso senza rendersi conto di quel che facevano:
"IL REATO DI ASSOCIAZIONE PER DELINQUERE COMMESSO FINO ALLA PRIMAVERA DEL 1980 È ESTINTO PER PRESCRIZIONE",
mentre per l'associazione mafiosa successiva al 1982 si conferma la prima sentenza: assoluzione per insufficienza di prove.


Da quell'anno, dunque, scatta la nuova imputazione, con pene maggiori e termini di prescrizione più lunghi: è il «capo b».

La sentenza d'appello conferma l'assoluzione concessa in primo grado per il «capo b», seppur con il riferimento al secondo comma dell'articolo 530 (ossia: per insufficienza di prove). La testimonianza del "pentito" Balduccio Di Maggio, quello che ha raccontato l'incontro con bacio tra Andreotti e Riina, non ha convinto i giudici.

La sentenza d'appello riforma invece l'assoluzione di primo grado per il «capo a», riconoscendo la prescrizione. Ossia: i fatti contestati sono avvenuti , i rapporti, incontri e contatti tra Andreotti e la mafia ci sono stati. «Fino alla primavera del 1980», precisa il dispositivo della sentenza: cioè fino alla data dell'ultimo incontro in Sicilia tra il leader dc e Bontate. Ma poiché non c'era ancora il reato d'associazione mafiosa, il più blando reato d'associazione "semplice" si prescrive in 22 anni e mezzo. Dunque nel dicembre 2002. Se la sentenza fosse arrivata cinque mesi prima, serebbe stata di condanna.

Andreotti ha avuto rapporti, incontri e contatti con i boss di Cosa nostra, almeno fino alla primavera del 1980. È stato salvato solo da quello strano marchingegno giuridico italiano che si chiama prescrizione.


E poi la classe politica dagli anni Novanta in poi, la campagna mediatica (tuttora in corso) contro la magistratura e i suoi uomini, le leggi approvate per limitarne i poteri e quelle per rendere meno facile la vita ad eventuali nuovi collaboratori di giustizia:

Uniti contro il 41 bis: Berlusconi dimentica la Sicilia
(stadio Renzo Barbera di Palermo, 22 dicembre 2002)

E potrei andare avanti ancora un po’, ma sto sudando in questa mattina romana senza vento alcuno.

Allora trovo la chiusura di queste righe, parla Giuseppe Ayala, altro membro del pool antimafia, ricordando l’incontro tra lui e Falcone dopo il fallito attentato alla villa dell’Addaura il 20 giugno 1989:

- “Ci guardammo senza parlare e ci venne in mente la stessa cosa a tutti e due: ma questa, solo mafia è?”

domenica 22 luglio 2007

Veleno

In attesa di una puntata de L'ottavo nano in replica su Raisat Premium, mi sono imbattuto nella pubblicità del Moment Act ("Per un'azione mirata!"), che altro non è che la versione potenziata del Moment200 "classico". In pratica contiene il doppio della quantità di principio attivo (l'ibruprofene): 400mg contro 200mg. Se hai un mal di testa - di denti, nevralgie varie, dolori muscolari, dolori osteoarticolari, dolori mestruali - più forte (di che? di cosa?), converrà sicuramente prenderlo.
Chi mi conosce sa che non faccio uso di questo tipo di droghe. Credo che l'ultimo composto chimico ingurgitato sia stato un'aspirina (in preda al tipico mal di testa post sbornia e con un pranzo imminente, ci scommetto), direi più di 5 o 6 anni fa.
Ora, sarò stato sicuramente fortunato, ma l'idea che il non prendere medicine sia il vero motivo che spinga il mio umile corpicino a non ammalarsi da tempo immemore, prende sempre più piede in una testa, la mia, da sempre ben predisposta all'idea del "complotto" universale.

giovedì 19 luglio 2007

Passano gli anni ma 15 son lunghi

E' un po' che me (ve) la meno con post introspettivi, allora eccomi di nuovo a voi con un po' di sana denuncia civile. Che non costa niente e ci fa stare con l'animo in pace (c'è ironia in tutto cio', un bravo scrittore non dovrebbe specificarlo).

Il 19 luglio 1992, dopo aver pranzato a casa di amici, Paolo Borsellino si reca insieme alla sua scorta in via D'Amelio, dove vive sua madre. Una Fiat 126, caricata con circa 100 kg di tritolo, esplode nei pressi dell'abitazione, uccidendo oltre a Paolo Borsellino anche Emanuela Loi (prima donna della Polizia di Stato caduta in servizio), Agostino Catalano, Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina e Claudio Traina. L'unico sopravvissuto è Antonino Vullo.

15 anni.
La procura della Repubblica di Caltanissetta indaga sul probabile coinvolgimento di apparati deviati dei servizi segreti nella strage di via D’Amelio. Ci sono voluti quindici anni. Basettoni e Manetta, con l'indispensabile aiuto di Topolino, della bislaccheria di Pippo e perchè no, dell'acume di Gancio "il dritto", avrebbero fatto sicuramente meglio.
“Piuttosto che niente, meglio piuttosto”, diceva mia nonna:

Dal 23 maggio (omicidio Falcone), il “condannato a morte” (parole sue in un intervista rilasciata a “Micromega”) Borsellino lavorò forsennatamente – “Devo fare presto”, ripeteva a familiari ed amici - appuntando tutto il materiale raccolto sull’ormai tristemente famosa agenda rossa, ovviamente (come la busta gialla di Mauro De Mauro, la pagina del libro di volo relativa al 20 luglio 80, i proiettili che trapassarono la testa di Tenco, la pistola usata per uccidere Fortugno) mai ritrovata.

Troppe leggerezze, troppi “errori” che si attribuiscono con difficoltà solo all’incompetenza, cazzo.
Come mai, se solo 60 giorni prima era stato fatto brillare Falcone con la sua scorta, non era stata prevista una bonifica della zona? Come mai non era stata istituita una zona rimozione in quella porzione di via che ospitava poco distante, al civico 68, un covo dei Madonia?

Il pericolo era reale, palpabile, ricordo persino io, adolescente brufoloso, la tensione di quell’anno, di quei mesi, quella sensazione di terreno instabile sotto i piedi: “è arrivato in città il carico di tritolo per me''' confidò Borsellino all’amico Pippo Tricoli (docente di Storia Moderna e Contemporanea presso l'Università di Palermo) lo stesso 19 luglio.

Perché sono state archiviate frettolosamente le indagini relative al Castello Utveggio, luogo da dove partirono, subito dopo l’attentato, chiamate dal telefono clonato di Borsellino a quello del funzionario del Sisde Bruno Contrada?

- Bruno Contrada è stato condannato a dieci anni di carcere per concorso esterno in associazione mafiosa.
L’inchiesta si focalizza sui rapporti ambigui che Contrada, avrebbe avuto, con la mafia e in particolare con il boss di San Lorenzo, Rosario Riccobono, eliminato con il metodo della “lupara bianca” durante la guerra tra le cosche negli anni ’80. Tra gli accusatori, dell’ex agente del Sisde, ci sono stati diversi collaboratori di giustizia: Tommaso Buscetta, Gaspare Mutolo, Giuseppe Marchese, Rosario Spatola. Dopo di loro, altri pentiti di primo piano, tra i quali Francesco Marino Mannoia, Salvatore Cancemi, Ghiacchino Pennino, Angelo Siino e Giovanni Brusca, hanno sostenuto che Contrada era “a disposizione” di alcuni esponenti mafiosi.


Perché Nicola Mancino (allora Ministro dell’Interno) chiese a Borsellino, intento nell’interrogatorio di Gaspare Mutolo (detto “Asparino”, compagno di cella e uomo di fiducia di Totò Riina), di incontrare il capo della Polizia Parisi e il funzionario del Sisde Contrada? Cosa si dissero? Perché Borsellino ne uscì talmente sconvolto, come raccontò lo stesso Mutolo, da “tenere in mano due sigarette contemporaneamente”?

Secondo Salvatore Borsellino, il fratello Paolo è stato ucciso dai servizi segreti. Da lì è partito l'ordine. Lo hanno fatto saltare in aria in via D'Amelio quando hanno capito che Paolo era diventato un pericolo per quella parte dello stato che aveva deciso di trattare con Cosa Nostra. Lui era contrario, per questo l'hanno eliminato.
L’agenda rossa è sparita ma ne esiste un’altra, di colore grigio, mai uscita da casa Borsellino:

1 Luglio ore 19:30: Mancino

Mancino continua a negare l’incontro in perfetto stile democristiano, nonostante lo stesso Vittorio Aliquò (all'epoca procuratore aggiunto) ha dichiarato di aver accompagnato Paolo fino alla soglia dell'ufficio di Mancino.

Io mi ostino a credere che basti cercar meglio o forse non dare mai niente per scontato, un po’ come ne La lettera rubata (Edgar Allan Poe, 1845). Sì, forse l’agenda rossa è posata lì sulla scrivania, a destra, sotto qualche foglio ed un paio di timbri, proprio di fianco al telefono.
Nell’ufficio di Mancino.

Alla fine i miei occhi, facendo il giro della stanza, si posarono su un insignificante portadocumenti di cartone filigranato, che era appeso con un sudicio nastro blu a un chiodo di ottone, proprio al centro del caminetto. Nel portacarte, diviso in tre o quattro scomparti, c'erano cinque o sei biglietti da visita, e un'unica lettera, molto sporca e spiegazzata. La lettera era quasi strappata in due, proprio nel mezzo: sembrava che qualcuno, dopo aver avuto in un primo momento l'idea di farla a pezzi come cosa senza valore, poi si fosse fermato, oppure avesse cambiato idea. Recava un grande sigillo nero, dove erano impresse in bella evidenza le iniziali di D***; l'indirizzo, scritto in una minuta calligrafia femminile, era quello del ministro. Era stata infilata con negligenza – perfino con disprezzo, sembrava – in uno degli scomparti superiori del portacarte.
Mi bastò un'occhiata per capire che quella era la lettera che stavo cercando.

martedì 17 luglio 2007

A presto

- Quasi come in Entr’acte (René Clair, 1924) con il corteo all’inseguimento frenetico del carro funebre.
Sorrisi salati sì, comunque sorrisi. Senza cammelli e con tanti fiati festosi e mai lagnanti.
E poi sotto i cipressi, il silenzio. Fuori ordinanza.
Vorrei fosse così anche per me quando deciderò di lasciare la carne per assimilarmi del tutto.


- Rotolavi ansimante come un salame antispiffero ormai, con quel nasone rosa (per me rimarrai sempre Mucco) perennemente umido di brina sollevato a pochi centimetri da terra. Tu il matterello, i miei piedi la sfoglia di pasta da spianare.
Ti attendo sul rettilineo dalla parte del laghetto dei cigni, pronto a tirare l’ennesima progressione fino all’asfalto. Stretching adesso.
E ricorda sempre che "kane non mangia kane".

lunedì 16 luglio 2007

Ho scelto

Dopo anni e anni di pensieri e domande senza risposta del tipo "Ti piace più la carne o il pesce?" (a cui di solito si risponde "Be', in genere il pesce/carne, però se mangio per un mese solo pesce/carne, vuoi mettere che cazzo di gusto ti da una crudo di crostacei/fiorentina al sangue?), in questi giorni di poco sonno sono giunto ad una conclusione difficile e sofferta, senza respiro, da testa sotto la sabbia in stile struzzo (anche se poi sappiamo tutti che è falso, e mi riferisco al fatto che gli struzzi mettano la testa sotto la sabbia).
Sì, lo so, sto tergiversando in malo modo, ma la notizia che sto per darvi è davvero forte come Ben Grimm:
non c'è tramonto che tenga, vince l'alba.

mercoledì 11 luglio 2007

De gustibus...

Perché cercare di convincerlo? Era un settario dei peggiori, caparbio e altezzoso, neanche fosse il Padreterno. Gli spaccai la testa in due: vediamo se impara a discutere. Chi non sa le cose, taccia.

(Delitti esemplari - Max Aub, 1957)

Sedia di metallo non troppo scomoda, prati di fronte e di lato, legno alle spalle e sulla testa. Un cappuccino ogni mezzora, qualche tazzina da lavare, un libro tra le mani e Velvet Underground & Nico dal desolante impianto agghindato alla buona proprio a ridosso dell’entrata posteriore della cucina, con le tremanti casse in equilibrio sul marchingegno che sforna caffè aromatizzato al ginseng da una parte e orzo dall’altra (esiste sul serio).
Arriva un tipo accompagnato da un altro paio di tipi, età media 35. All Tomorrow’s Parties:
“Ma che è, 'na canzone de chiesa?”

martedì 10 luglio 2007

Chi dice del Chianti, chi dice dell'uva

Io non piansi. Provavo rabbia, nausea. Dio buono, che gli avevano fatto a quel povero vecchio! Che cosa avevano fatto a quella magnifica faccia abruzzese scavata nella roccia, a quei lineamenti di sofferenza e di fatica, a quella bocca risoluta, alla linea furba delle sopracciglia, alle rughe di trionfo e di sconfitta? Tutto rimosso, tutto rimosso... e al loro posto un viso liscio, senza rughe, trattato con l'ovatta, con le guance rosate. Una vergogna, un'oscenità.
Mi punse una perfidia da scrittore. Pensai: quello non è il mio vecchio, quello non è il vecchio Nick, quello e Groucho Marx, e prima lo seppelliamo, meglio è.


(La confraternita del Chianti - John Fante, 1977)

lunedì 9 luglio 2007

Esternare i sentimenti

La scritta che segue qui sotto l'ho letta qualche tempo fa sul parafango posteriore di un Piaggio Liberty 50 vecchio modello, nella no man's land compresa tra la parte superiore della targa e la luce di "stop". Alla guida, un ragazzo sulla trentina. Secondo me si sono lasciati ieri.

"Patatina + Cucciolotto = TANTE TANTE COCCOLE".

sabato 7 luglio 2007

Patti chiama Lou (un po' come Asso chiama Sette o Capopattuglia chiama Corvo)

IT’S A MASTER PIECE! E’ UN CAPOLAVORO!
(Un tipo, più o meno dall’ottava fila, a poco più di dieci minuti dall’inizio).

Mai tanta grazia piovuta sullo scrivente come in questi ultimi giorni.
La formazione (a memoria):
Chitarra (alternativamente elettrica e acustica), basso e contrabbasso, tastiera, batteria, violoncello elettrico, due sassofoni (un contralto e un tenore), due trombe, due tromboni, due violini, una viola, coro angelico di venti bambini biondi in grembiule azzurro, voce femminile vestita di rosso. Dimenticavo, poi c’era la voce maschile con chitarra a tracolla: Lewis Alan Reed. Per gli amici Lou.

"Berlin” è un disco di oltre 30 anni fa che non è stato mai presentato dal vivo data la sua complessità. Quando uscì nel 1973 fu scioccante sia per la critica che per i fan, che avevano appena visto riaffermata l’immagine di Lou Reed come visionario rock dopo il successo di “Transformer”. Anziché produrre un album che consolidasse la sua reputazione di innovatore glam-rock, Reed si immerse in un progetto estremamente ambizioso, emozionalmente denso, psicologicamente estenuante e completamente coinvolgente, un concept album oscuro che parlava di tormentate dipendenze d’amore che portano alla deriva, di cuori spezzati che descrivevano la propria caduta nei sobborghi di una città divisa.

Spulciando il sito della Garzanti Linguistica:

Carisma [ca-rì-Sma], s. m. [pl. -Smi, ant. cariSmati], (fig.): prestigio, ascendente, forza di persuasione che si fondano su straordinarie ed esemplari qualità personali.

Ecco.
Quel tipo di braccio - nervoso, tirato, muscoloso per lo spasmo anche in assenza di sforzo – avevo imparato a conoscerlo nei dintorni di casa, zona stadio, in quel periodo particolarmente creatore di mostri che è stato l’inizio degli anni ’80. E poi il gilettino di pelle in stile Warriors gli calzava come una calza sopra un calzino.
Ci crede un bel po’ l’uomo di NYC, si vede che ha voglia, si vede dagli occhi, laggiù sotto il sopracciglio, scandisce bene le parole muovendo le rughe del viso in modi incompresibili, dirige ogni membro presente sul palco come un Von Karajan sotto camomilla corretta all’efedrina.
(Una pecca: ok, non sono un ingegnere del suono ma posso dichiarare ufficialmente che le sale dell’auditorium non sono fatte per l’elettricità. Vince l’acustico lì dentro. Perché non farlo suonare all’esterno, meno paganti?)
E’ un’adorabile bastardo Mr. Lou. E lui è davvero troppo consapevole di esserlo anche se stasera sembra che l’affabilità stia avendo il sopravvento su quei solchi.
Ottimo il bis dunque (con il pubblico incredibilmente - … - in piedi sotto al palco):
Una Sweet Jane "picchiata" ma in solenne introspezione, Satellite of Love interminabile, cantata praticamente 4 volte (la prima dal bassista in un sorta di farsetto alla Farinelli, la seconda da Mister Reed in persona, la terza dal coro angelico e la quarta tutti insieme, violentando gli strumenti) per chiudere con una Walk on the wild side che dedico qui ed ora al My Pal abitante in qualche blocco di Washington D.C. dicendogli:
“Guarda che il basso è ancora sotto al mio letto”.

Sì, insomma, come disse Salieri uscendo da un’esibizione di Mozart:
“Ragà, un cazzo di concerto!”

Specifiche dell'arca di Noè

Costriuta con: legno resinoso
Lunghezza: 300 cubiti
Larghezza: 50 cubiti
Altezza: 30 cubiti
Finestre: 1
Ponti: 3
Numero di umani: 8
Il diluvio durò: 40 giorni e 40 notti
L'allagamento durò: 150 giorni
Noè visse fino a: 950 anni

giovedì 5 luglio 2007

L'erba del vicino

"Prendete il miglior orgasmo della vostra vita, moltiplicatelo per mille…e nemmeno allora…” (Trainspotting - Danny Boyle, 1996).

E’ in scena il torneo di Wimbledon più piovoso della storia. I campi coperti e ridonati alla luce da teloni di plastica regalano l’opportunità di riempire i buchi del non gioco. Parlando di tennis ovviamente.
E la BBC riempie buchi come pochi.

Le leggende di Wimbledon, serie di puntate dedicate agli atleti che hanno fatto la storia della più antica e prestigiosa competizione di tennis. La puntata di oggi era dedicata a Pete Sampras.
Per uno come lo scrivente, teorico della sportività utopica e della capacità formativa di una qualsiasi disciplina praticata a livello agonistico, non è difficile piombare nel pianto, circondato com'è dall'infinita gamma di emozioni che uno sport può dare, specialmente se giocato uno contro uno. Ve ne racconto un paio.
Il riassunto BBC (le interviste in primo piano con luce calda di lampada sullo sfondo che si alternano alle immagini del campo) è di quelli che la RAI…ma lasciamo stare:

1.
Quarti di finale degli Open di Australia, anno 1995. La ricordo bene quella partita, stravaccato sul divano di via Valignani. Sul centrale di Melbourne Sampras incontra il connazionale Jim Courier.
Il giorno prima la notizia terribile: Tim Gullikson, allenatore e “secondo padre” di Sampras, accusa un malore. La diagnosi non lascia speranze: tumore al cervello.

- Jim Courier: “La sera prima del match andammo tutti a cena insieme, ovviamente non era mai successo che lo facessi con un mio così prossimo avversario. Ma quella volta fu diverso”.

Sampras è nervoso. Impreca passandosi continuamente le mani sul volto, sudato con gli occhi strabuzzati, come sotto acido.

- Tom Gullikson (fratello di Tim): “Pete andò sotto due set a zero, ma riuscì per disperazione a prolungare la partita fino al quinto”.

Con i nervi a pezzi e la faccia tagliata dal battito del cuore, Sampras inizia il set decisivo. Le lacrime accumulate nelle ore precedenti sfondano le dighe degli occhi. Singhiozzi e mani sulle ginocchia.

- TG: “A quel punto uno spettatore si alza dalle tribune strillando: ‘Dai Pete, vinci per il tuo coach!”.

- Jim Courier: “Da lì e cambiato tutto. Vedevo Pete che piangeva e singhiozzava infilando un ace dietro l’altro”.

Ultimo punto. Servizio vincente. Un altro. Braccia al cielo e asciugamano inadatto a nascondere emozioni ai 15mila della Rod Laver Arena.
Finirà per perdere da Agassi in finale. Ma a pochi importava.
Tim Gullikson morirà 10 mesi dopo, nel maggio 1996.

2.
Wimbledon 1997, quarti di finale: Sampras affronta il mio mito adolescenziale, il più giovane della storia a vincere sull’erba d'Inghilterra (nel 1985, a soli 17 anni) a suon di tuffi e serve&volley: Boris Becker.
Non c’è storia, seppur con i set in parità (1a1), il tre volte vincitore del torneo Boris, non sembra in grado di arginare la classe e la potenza dell’americano.

- Boris Becker: “Fino a quel momento quel campo era casa mia. Nessuno poteva battermi. Sì, ok, con Stephan (Edberg, ndr) persi due delle tre finali giocate, ma ero convinto che al massimo della forma, non c’era avversario che potesse tenermi testa. Quella partita cambiò questa percezione: capii che Pete era più forte di me”.

Boris le prova tutte, serve e segue la battuta come sa, sfodera numerosi esempi delle volée in tuffo che l’hanno reso celebre, ma ovunque mandi la palla, Pete è già lì, ad infilarlo con l’ennesimo passante. Sampras chiude l’incontro con il punteggio di 6-1; 6-7; 6-1; 6-4.
I giocatori si avvicinano a centro campo per la rituale stretta di mano. Boris sussurra qualcosa all’orecchio del rivale che rimane immobile una manciata di secondi, col sorriso dell’emozione e dell’investitura ufficiale.

- Pete Sampras: "Durante la stretta di mano Boris mi disse qualcosa. Non ricordo esattamente le parole ma fu una cosa del genere: ‘E’ stato un onore giocare con te. Io finisco qui’.

Io la penso così: se non hai mai tirato calci ad un pallone, una palla in un canestro piuttosto che oltre la rete o un montante destro in un determinato modo, con la consapevolezza di chi sa, queste sensazioni non le percepisci come potresti. Ti stupirai, piangerai, urlerai. Va bene. Ma non raggiungerai mai la vera essenza di questa follia. Non ci sono cazzi.

mercoledì 4 luglio 2007

La maga Patti (Patti, Patti quando fa magie...) - REPRISE

Patti Smith non è mai entrata negli anni ’80.
La chitarra per la prima volta a coprire la maglietta bianca e i jeans infilati dentro il marrone degli stivali, l'usuale tenuta da concerto. Il terzo o il quarto pezzo, non so, sarà stato per via degli occhi chiusi ma una festoso gruppo di oche saltellanti si è impadronito della mia pelle picconando con unghie smussate. Senza staccarsi più.
Poi il delirio onirico popolato da una famiglia di balene come intro per White rabbit, "feeds our heads" Patti, con o senza pillola, gli occhi a guardare il cielo e le curve di Renzo Piano e i bambini nelle braccia delle mamme.
La voce rocka e pulita al tempo stesso, la lava da ogni capello, i fiammiferi nell'ugola, la brace negli occhi.
60 anni cazzo, sessanta.
Because the night messa lì, come uno schiaffo improvviso a metà concerto.
Fanculo a ‘sti cazzo di posti a sedere.
Potrebbe anche dirmi “Venezia è bella ma non ci vivrei” piuttosto che “non ci sono più le mezze stagioni” e cose simili, io le crederei, mi fiderei come di fronte ad una rivelazione. Dimmi la verità Patti. Anzi, dimmi e basta.
C’è chi si lascia morire per peccati non nostri e poi un bacio a Jim Morrison, il bis con Perfect Day, le corde strappate, la mano che fa ciao.
Avrei dovuto avere da scrivere su quelle gradinate, scusate la prosa misera adesso. Non riesco. Non mi viene.

Grazie coinquilini, vi devo qualcosa di bello.

martedì 3 luglio 2007

Marmota marmota

Oltre alle mirabolanti avventure di Paris Hilton, svariati quotidiani m'informano che uno dei filmati più visti nei siti di file sharing, ha come protagonista questa marmotta.

Secondo me deve aver sentito il rumore tipico di un tappo di Peroni ghiacciata fatto volare con il culo di un accendino da mani sapienti (ricordo ai lettori che la marmotta non beve: il fabbisogno di liquidi lo reperisce dalle piante):
- “Passatella?”

Oppure potrebbe essere stata apostrofata in malo modo da un buzzurro del luogo, rispondendo da par suo:
- "Cazz’ a vu’, ah?!? Chi tinghe la facc’ zezz’?!?”

domenica 1 luglio 2007

Guardo il mondo da un oblò

“Closing party con piscina all’interno! Preparate il costume!”, questo il leggendario passaparola ad accompagnare la serata conclusiva del Fanfulla 101.
Leggenda un paio di palle direbbe quello. E quello, notoriamente, la sapeva lunga.

La porta nera di metallo è aperta, bene, non avevo alcuna voglia di suonare il citofono. Come ogni volta rischio d’inciampare sul telaio della porta stessa ma rimango in piedi, almeno per questa stagione la figura di merda me la risparmio.
Passo l’anticamera. Delirio. Un tipo in jeans e maglietta, evidentemente vecchio sostenitore di Nino D’Angelo, spicca il volo (non sarà l’ultimo) da sopra il bancone prima di atterrare in uno specchio d’acqua di sezione tonda, tre metri di diametro e circa uno di altezza, inevitabile la conseguente inondazione dei non bagnanti, pochi a dirla tutta. L’acqua inizia a guadagnar terreno sul pavimento grezzo, le scarpe e i piedi nudi accompagnano la musica semplicemente camminando, le partite di biliardino, disturbate da improvvisi quanto frequenti scrosci di pioggia, non sembrano risentirne. Finisco la birra mentre Laura fa la difficile, il suo gin lemon è stato appena contaminato da una pallina arancione schizzata dopo una sponda di troppo. Riesco ad aggiudicarmi la bevanda gratuitamente dopo aver deriso la signorina e il suo vano tentativo di venderla a due euro, “Comunque meno che al bar”.
Incredibile a dirsi, ma dopo più di mezzora mi accorgo che le piscine sono due, da una più piccola, adagiata sotto la consolle, prende il volo uno squalo bianco di un paio di metri, prontamente afferrato dal bacino con maggior utenza.
Il livello dell’acqua sale, le scarpe sono ormai zuppe, sogno girini e rane tra i calzini mentre loro sognano un posto migliore dei miei piedi puzzolenti. Allarmi! C’è un buco nelle pareti, troppo tardi. E’ il disastro, la piscina si apre come una cozza su nu travocche, l’inondazione è completata. Trenta centimetri d’acqua, tsunami al Pigneto! Buio, salta (in lungo? In alto?) la corrente, temo la scossa e la visione di ottanta e più persone abbrustolite e tremolanti, la mano destra sulla porta dei rossi e l’altra sulla mensola proprio sotto la lavagna, faccio forza e alzo i piedi da terra nella vana speranza di essere più veloce di un’eventuale scarica.
La festa finisce qui, costumati e non si avviano verso l’uscita cullati dal sussurrare di un dolce ruscello di montagna.
Il virtuoso del calcio balilla Poppy, se la ride di gusto da dietro la maglietta “Sti cazzi”: “Tranquilli, è scattato il salvavita.”