Ma è forse diverso il vostro morire
vuoi che uscite all'amore che cedete all'aprile.
Cosa c'è di diverso nel vostro morire.
Primavera non bussa lei entra sicura
come il fumo lei penetra in ogni fessura
ha le labbra di carne i capelli di grano
che paura, che voglia che ti prenda per mano.
Che paura, che voglia che ti porti lontano.
(da Un Chimico, in Non al denaro non all'amore né al cielo - Fabrizio De Andrè, 1971)
Non c’è niente da fare. Questa città è troppo bella. Me lo dico ad ogni primavera. Come quest’oggi, giornata lunga una pedalata che dal Pigneto si butta per Monti e va a Trastevere passando per il centro, il Ghetto, gli odori e i caffè amari, i marmi dei barbieri – quelli veri - i fritti di baccalà e le bocche spalancate di chi vede per la prima volta e poi chissà. Le spalle scoperte e i piccioni affamati e i nasoni che sputano senza sosta per scandire le soste. E poi i sanpietrini a farsi beffe dell’orientamento, un senso perennemente ben lontano dal manifestarsi al cospetto di questi occhi accesi dal sole che brucia i colori pastello.
Allora ci si perde ad ogni svolta, quando la meraviglia ti guarda in faccia da più direzioni, quando non sai dove andare, quando poi decidi, perché “passo un attimo là e poi torno di qua”. E invece no. Perché ogni cavolo di volta riesci a sbattere contro una cosa nuova, o una barba bianca che col pane sotto braccio si avvia verso le scale coperte da un fico in un posto mai visto, la sua casa dico: “da quanto tempo vive qui?”, “da quanno so nato, dar 1918”, dicono le labbra e il sorriso nascosti da quella panna.
Perché fino a quando non butteranno giù i palazzi e i bar e la gente, i bar e la gente che dico io, sto posto sarà sempre una spanna sopra tutti. E pazienza se qui, forse più che altrove, un passato sepolto sta rialzando la voce. Si proverà a cacciarli via ancora. Speriamo solo di non metterci venti anni. Insomma, basta tutto questo, non me ne vogliano Robert Plant e compagni, per "telling myself it's not as hard, hard, hard as it seems".